ARIRANG: LA VIDEO-CONFESSIONE DI KIM KI-DUK

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ARIRANG

regia di Kim Ki-duk

sceneggiatura Kim Ki-duk

attore Kim Ki-duk

fotografia Kim Ki-duk

montaggio Kim Ki-duk

produzione Kim Ki-duk

paese Corea del Sud 2011

durata 100 min

Ready? Action! Nel 2011 Thierry Fremaux, direttore del festival di Cannes, ha presentato con orgoglio il grande ritorno di Kim Ki-duk nella sezione Un certain regard. Uno dei registi più talentuosi e osannati dalla critica negli ultimi quindici anni ricompare, a distanza di tre anni dall’ultimo film, con tutto il peso della sua crisi artistica in un film autobiografico che lo mette in gioco in modo assoluto.
La confessione struggente di Kim Ki-duk arriva dritta al cuore con la potenza che può appartenere solo a un grido di aiuto. Dopo tutto questo tempo, il regista ammette anche di aver dimenticato come si gira un film; decide, così, di riprendere la sua vita all’interno della baracca dove ha vissuto e dove ha piantato, per non morire di freddo, una tenda, al tempo stesso camera da letto e camera di montaggio.

In un riuscito cortocircuito tra fiction e realtà, reso da campi e controcampi, i lunghi e struggenti sfoghi del regista, quasi assediato dalle locandine-fantasma del suo cinema, ci ipnotizzano per 100 minuti.

Why can’t you make films now? Si chiede ossessivamente accompagnandosi con Arirang, un canto folk coreano intonato a volte melodicamente, come colonna sonora, altre disarmonicamente, come lugubre lamento. E quando le lacrime e la disperazione prendono il sopravvento interviene con un taglio, guarda dall’esterno, con sobria lucidità, la sua fragilità di regista e di essere umano. Why’s this fool crying?

L’urgenza di riflettere sul senso di fare cinema e sulla vita irrompe sullo schermo anche con la scelta di inserire la sequenza finale di Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera. Lì, Kim Ki-duk è un monaco buddista che scala, con una statua del Buddha, un ripido pendio dall’alto del quale può vedere il suo monastero e raccogliersi in preghiera. Tutto il suo cinema, intriso del conflitto tra bisogno d’amore e brutalità degli istinti, è sintetizzato in questo sguardo nostalgico che rivolge a se stesso e nell’appello disperato che consegna a una telecamera digitale.

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