Basilé e Pontrelli | Appunti di una generazione #3

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Artisti: Matteo Basilé e Gioacchino Pontrelli
Titolo: APPUNTI DI UNA GENERAZIONE #3
Curatore: Costantino D’Orazio 
Luogo: MACRO – Via Nizza 138  – 00198 Roma
26 Maggio – 2 Ottobre 2016
Da martedì a domenica ore 10.30-19.30
Chiuso lunedì
 

Il Macro di via Nizza, al Terzo appuntamento del ciclo di mostre curato da Costantino D’Orazio e promosso da Roma Capitale – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, che indaga la ricerca degli artisti italiani emersi negli anni ’90, ospita negli Studio #1 e Studio #2 le mostre personali di Matteo Basilé e Gioacchino Pontrelli. Per la preview stampa incontriamo, nelle rispettive sale espositive, gli artisti che ci parlano del loro lavoro svelandoci alcuni retroscena e aggiornandoci sulle rispettive ricerche e sui futuri progetti.

Quello di Matteo Basilé (Roma, 1974) è un viaggio onirico tra le cave di Carrara. Si tratta della nuova serie dal titolo Pietra Santa in cui l’artista sceglie di esplorare, attraverso personaggi che provengono dalla sua mitologia, questi “luoghi mitici della storia dell’arte e dell’umanità”. Il titolo Pietrasanta deriva, come ci riferisce l’artista, dal fatto che il marmo di Carrara è stato scolpito dai più grandi Maestri al mondo ed è entrato nei luoghi più sacri, non solo della religione cristiana. Nel suo lavoro ci sono infatti riferimenti simbolici che vanno  dal Pesce alla Grande Pietra che è l’Islam. Se Matteo Basilé precedentemente ha lavorato da una parte con la Super Bellezza e dall’altra con la Meravigliosa Mostruosità, dove il “mostro” con la sua deformità diventa l’apice dell’umanità, in questa serie indaga la Super Natura – il primo capitolo, come lui steso ci anticipa, di un progetto che comprenderà anche un film-.

I personaggi entrano a far parte integrante di questo contesto come fossero essi stessi delle sculture in marmo create sulla base tanto della storia che di una personale mitologia, quanto del presente che delle circostanze che lo hanno segnato. “Non c’è una sceneggiatura” ci riferisce, “sono andato lì per la prima volta e un po alla ribalta… Ho scelto i miei personaggi, ho immaginato quello che poteva essere il luogo… Queste cose poi succedono per magia… (ci mostra l’opera Pietra Santa, la prima fotografia della serie) “era una giornata di sole poi invece questa nuvola è entrata nell’inquadratura… era perfetta. Questa polvere c’è perché c’era la macchina. La sega che tagliava il marmo era in funzione e tutto tornava come nel sogno.”

Matteo Basilé, Pietra Santa, 2016, stampa inkjet su carta fotografica montata su dbond.

Matteo Basilé, Pietra Santa, 2016, stampa inkjet su carta fotografica montata su dbond.

 

Altri avvenimenti poi segnano tutta la storia. L’artista vive in diretta la caduta di un masso con la conseguente morte di tre persone, una tragedia che cambia inevitabilmente tutto il lavoro. Non potendo raccontare più la gioia iniziale della visione di quelle cave, Basilé infonde alla storia che si appresta a raccontare il seno profondo della difficoltà e della fragilità umana. I suoi protagonisti sono a questo punto degli Anti-Eroi che cercano di combattere una “Natura che deve essere a tutti i costi complice”. Questo crepuscolo tra il giorno e la notte, questa idea del tempo sospeso diventano dunque le nuove atmosfere: “Sono tornato con l’idea che mancasse un elemento che portasse in qualche modo lo spettatore a quello che è il dolore che le persone vivono in quel momento… quindi ho trovato queste immagini di cetacei (fotografie scattate in Indonesia) che fin’ora avevo utilizzate vive e invece ora diventano quasi loro stesse dei blocchi di marmo”. Nell’opera L’Ottava fatica c’è poi il suo carissimo amico, una persona fragilissima che soffre della sindrome delle ossa di cristallo, a tirare quel pesantissimo blocco che simboleggia la Grande Pietra della Mecca.

Gli chiediamo infine delle forme lucide presenti in quasi tutte le opere e: “Il mio concetto di fotografia è quella di un pezzo unico, per me è come un quadro dipinto. Questo è quello che può essere il lato pittorico, il lato tridimensionale,  anche scultoreo perché anche qui mi trovo a lavorare con la materia. Provengo da una famiglia che sono i Cascella, una famiglia che ha sempre dipinto, scolpito. (…) In questi elementi, questi blocchi, questi ritagli, ovviamente si può ritrovare Kapoor  e tutta l’arte che io amo.”

Il lavoro di Gioacchino Pontrelli (Salerno, 1966) è una ricerca emozionale e sensoriale legata all’interazione tra le diverse componenti che entrano a far parte dell’opera. Un lavoro in cui pittura e disegno, natura e astrazione, arredamento e decorazione si sovrappongono e si fondono a creare opere di grande energia. Attraverso l’acrilico, lo smalto e l’olio su tela l’artista indaga la teoria del comportamento emergente, ma spiega: “Non lo faccio in maniera molto cosciente, seguo il mio mondo, le mie fissazioni, le mie psicosi, le mie fascinazioni sulle cose e poi mi rendo conto che mettendo insieme queste cose ogni volta escono fuori  delle cose diverse. Il senso finale è però legato molto al mio stato emotivo. Non c’è un progetto, qualcosa di molto chiaro, costruito, semmai ce ne è un po’, vorrei ci fosse sempre meno.”

Gioacchino Pontrelli, Paesaggio caduto n.2, 2013, tecnica mista su tela.

Gioacchino Pontrelli, Paesaggio caduto n.2, 2013, tecnica mista su tela.

Il suo lavoro, che si svolge per fasi, comprende poi un momento di grande importanza perché in questo Pontrelli definisce l’opera. Questo momento è quello della contemplazione: “Vado molto per intuizioni, penso quindi immagino, vedo delle cose sempre legate al tipo di lavoro che già faccio, poi cambiano lavorando; mi fermo mi intrippo ad esempio tre giorni su un pezzetto rosa li sotto e non so spiegarmelo.”

Infine gli chiediamo come riesce a creare determinati effetti e l’artista così risponde: “Il fatto è che in quegli effetti c’è una casualità apparente che negli anni ho imparato un po a controllare, a gestire, poi è chiaro che mi faccio affascinare, prendere dall’imprevisto, non è che è tutto controllabile però, è una fissazione, queste cose le faccio tante volte finché te magari vieni e sembra un po’ di colore buttato li.” e invece fonde perfettamente tutte queste componenti  nella totalità dell’opera.

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Autore

Viviana Quattrini

Laureata in storia dell'arte contemporanea all'Università degli Studi di Roma "La Sapienza", collabora principalmente come critica d'arte con la galleria romana RvB Arts. Ha curato mostre istituzionali e in gallerie private. Scrive come redattrice per la rivista Nucleo Artzine.

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