Cannes 69 | A. Farhadi | The Salesman

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salesman

regia Asghar Farhadi
con Shahab Hosseini, Babak Karimi, Mina Sadati, Shirin Aghakashi, Sahra Asadollahe
produzione Memento Films production
distribuzione Memento Films distribution

Compétition – Festival de Cannes 2016

Titoli di testa. Vengono puntate le luci su un palcoscenico teatrale. Un interno (piccolo)borghese, arredamento spoglio ed essenziale. Si scoprirà più avanti che stiamo assistendo a un allestimento di Morte di un commesso viaggiatore di Arthur Miller, da parte di una compagnia semiprofessionale. Ma quel che conta è che siamo subito inseriti in una rappresentazione, nella scatola chiusa di un mondo/set in cui le vicende seguono le traiettorie ideali di un impianto drammaturgico predefinito. Eppure si tratta di una chiusura fittizia, perché il reale, con le sue deviazioni inattese, è sempre lì, a un passo. Come è subito evidente nella prima vera scena, quella che dà il via all’azione. Un palazzo prende a tremare dalle fondamenta, per le vibrazioni prodotte da una pala meccanica che scava nel terreno circostante. Gli inquilini sono in subbuglio e tutti devono evacuare. Anche la giovane coppia di protagonisti, Emad e Rama, è costretta a sgomberare. È solo il primo degli avvenimenti che sconvolgeranno la loro esistenza. I due hanno una vita molto attiva, sono di ampie vedute e impegnati culturalmente – sono, tra l’altro, gli interpreti principali della pièce di Miller – ma il destino sembra congiurare contro di loro. Infatti, si trasferiscono in un altro appartamento, grazie all’interessamento di un amico attore, ma si rendono conto ben presto che qualcosa non va. La precedente affittuaria era una donna di malaffare. E una sera, per errore, uno sconosciuto entra in casa e aggredisce Rama.

Tutto l’impianto di The Saleman è costruito sulla ripetuta invasione dello spazio chiuso del set e quindi sulla violazione di una sfera privata, fisica, morale, ideale. È un gioco di riflessi e riflessioni. L’interiorità dei convincimenti individuali e la loro professione pubblica si scontra con l’insinuarsi di una rabbia intima e una sete di vendetta invincibile. E così il privato della casa, del nucleo familiare oltraggiato dallo spazio pubblico della rappresentazione. Il ragionamento di Farhadi cerca di rintracciare le radici psicologiche di una sostanziale e diffusa conformità alla morale tradizionale, al di là delle apparenti aperture di una visione “moderna”. Alla fine, nonostante la sua “cultura”, Emad rimane vittima, ancor più di Rama, di una sistema processuale antico di valutazioni, giudizi e condanne sommarie. Il ragionamento è complesso e Farhadi tenta di portarlo avanti con la precisione della sceneggiatura e l’eleganza di una messinscena in cui ha un peso determinante la prova attoriale di Shahab Hosseini e Taraneh Alidoosti. Ma alla fine, nonostante le evoluzioni dello stile, viene fuori l’impianto teatrale di The Salesman, quel modo di procedere lungo le traiettorie di un discorso compiuto, a scatola chiusa. Come già ne Il passato, il desiderio di dire tutto e arrivare al fondo delle scelte e delle azioni prolunga i conflitti e avviluppa la scrittura in nodi inestricabili e claustrofobici. E il film rischia di perdere la forza delle sue intuizioni.

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