Compagnia Giovanna Velardi | Core/Demetra 2.0

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foto Marianna Giorgi

coreografia Giovanna Velardi
scenografia elettronica e video Dominik Barbier, Anne Van Den Steen
scultura Fabrizio Lupo
musiche originali Domenico Sciajno
costumi Dora Argento
luci Danila Blasi
set video Valeria Guarcini
oggetti di scena Baburka Factory
interpreti Stellario Di Blasi, Simona Miraglia, Tiziana Passoni, Giovanna Velardi, Sabrina Vicari e Valeria Zampardi
produzione FC@PIN.D’OC
con il contributo di MIBACT e Regione Sicilia Assessorato al Turismo Sport e Spettacolo
 
Sabato 23 aprile 2016, Teatro Palladium, Roma

Core/Demetra 2.0, nato dalla pulsione verace della coreografa Giovanna Velardi, ha riempito la platea del Teatro Palladium di volti sorprendentemente giovani.

Gli spettatori presenti si sono interfacciati con un lavoro che prende il suo principale spunto dalla mitologia greca: è infatti il mito di Demetra e di sua figlia Core che viene rivisitato in chiave contemporanea dalla Velardi. Le parole chiave del lavoro hanno sicuramente a che fare con la molteplicità dei medium utilizzati, con le radici sicule della compagnia e con la grande voglia di utilizzare il passato come scintilla riflessiva per il presente.

I sei danzatori in scena riempiono il palco di movimenti, alternando momenti corali ad assoli, il traffico sul palco è elevato, è un continuo viavai di atmosfere e figure che abitano il mondo immaginifico di Core/Demetra 2.0. Gli abitanti del palcoscenico vengono sostenuti da cambi di costumi e luci e da una timida ma sempre presente proiezione che dialoga con l’enorme viso scultoreo presente sulla destra del palco, catalizzatore di inizio e fine lavoro.

Anche l’uso della voce ha una sua ragione d’essere sulla scena: ci sono momenti corali di scherno ed un monologo della stessa Giovanna arrabbiato e danzato che, traducendo il disagio relazionale che oggi la nostra società vive, paragona gli esseri umani a carne da macello. La stessa carne viene trascinata e aggredita dall’unica figura maschile sulla scena, alle volte aguzzino alle volte complice di ciò che dichiara il lavoro, ovvero che gli esseri umani stanno perdendo la speranza del vivere: questa svanisce in silenzio, lasciando il posto alla bestialità. Assieme all’aggressività che raggiunge lo spettatore non mancano le note che ricordano le origini della compagnia in scena, la Sicilia, echeggiata con canti, parole e canzoni che, insieme all’oggettistica di scena, rendono il lavoro volutamente caotico e ricco.

Come è iniziato così finisce il viaggio della Compagnia di Giovanna Velardi, con un’elegante e intima attenzione al grande volto scultoreo in scena che si fa superficie per animare un magistrale lavoro di video mapping scelto per concludere le danze.

 

 

 

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