Digitalife 2015 | La Pelanda

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Joan Lemercier “Fuji”

 

Titolo: Digitalife 2015 “Luminaria” | Romaeuropa Festival

Luogo: La Pelanda | Macro Testaccio

Fino al 6 dicembre 2015

 

La Fondazione Romaeuropa festeggia quest’anno il suo trentesimo festival e il Digitalife la sua sesta edizione. Grazie al sostegno della Regione Lazio, del Comune di Roma e Acea e alla rinnovata convenzione con il MACRO e Zètema, gli spazi de La Pelanda sono nuovamente invasi da opere di arte digitale, alle quali vanno ad aggiungersi concerti e performance. In seguito alla collaborazione con Elektra – Festival d’Arte Digitale di Montreal (Québec) e al partenariato con Le Fresnoy – Studio National des arts contemporains, la presenza di artisti stranieri è piuttosto massiccia e il risultato è davvero strabiliante.

Il 2015 è l’anno internazionale della luce e il Digitalife, intitolato Luminaria, analizza questo tema attraverso l’arte e le nuove tecnologie, esplorandone le caratteristiche fisiche, la capacità ritmica e le forme che può assumere.

Alexandra Dementieva “Breathless”

Come una casa degli specchi al lunapark, lo spazio espositivo è una scatola buia in cui lo spettatore è invitato ad entrare, ignaro di cosa accadrà; l’inaspettato si mescola così allo stupore e gli unici punti di riferimento sono le opere stesse, con le quali il visitatore è chiamato ad interagire. Interazione è infatti una delle parole chiavi di questa manifestazione: alcune opere si rivestono di significato proprio grazie all’intervento dello spettatore. Come in Breathless di Alexandra Dementieva, un’installazione composta da tre sculture, la cui luminosità viene alterata dal semplice gesto del soffiare e presentata al festival con il contributo di Seminaria Sogninterra. Il respiro torna anche in Tourmente di Jean Dubois in cui una serie di ritratti che scorrono su uno schermo e può essere modificata dal pubblico soffiando nel microfono del telefono: in base all’intensità del soffio, questi saranno colpiti da una leggera brezza o da un forte vento. E ancora di interazione si parla in Idrofoni di Pietro Pirelli, dove la luce è coprotagonista dell’acqua: la serenità che l’installazione infonde è pari a quella di un giardino zen; tutto è bilanciato e precario allo stesso tempo, poiché lo spettatore può variare lo stato dell’acqua con un singolo gong. Interessante la sezione dedicata alla videoarte, in cui troviamo una rassegna a cura di artisti, studenti e docenti del centro Le Fresnoy, conosciuto soprattutto per la sua avanguardia tecnologica. Degno di nota è il film di Masbedo The Lack, in cui viene raccontato il sentimento della mancanza, attraverso quattro storie di quattro donne differenti. Un richiamo al cinema e alla tecnica del jump cut è presente nell’opera tempoAIR di Maxime Damecour in cui una rete metallica, collegata a dei diffusori sonori e illuminata da luci a LED, subisce piccole variazioni simili a scatti lasciando lo spettatore interdetto: ad un primo impatto infatti non è chiaro se le reti siano molteplici o se sia sempre la stessa a muoversi. La natura fisica della luce viene analizzata in Frequencies di Nicolas Bernier e Boîte Noure di Martin Messier: nella prima opera l’artista riflette sul Quanto, creando un’installazione video-sonora di 100 lastre di plexiglass, che si illuminano rivelando particelle e onde; nella seconda invece un fascio luminoso attraversa una teca piena di fumo fino a proiettarsi sul muro assumendo così tridimensionalità e concretezza. Fuji di Joanie Lemercier dona al visitatore una sensazione di apertura: protagonista dell’opera infatti è un paesaggio di chiara derivazione nipponica, disegnato direttamente dall’artista sulle pareti del museo, sulle quali vengono proiettate delle immagini che mutano continuamente lo stato  dello scenario. Ci fa riflettere invece sul quotidiano e sulle piccole cose la scultura cinetica De choses et d’autre di Samuel St-Aubin, in cui uova o mini muffin si muovono in modo reiterato in bilico tra equilibrio e precarietà. Conclude il percorso la spettacolare installazione di Bill Vorn e Louis-Philippe Demers Inferno: ispirata alla celeberrima opera di Dante, la performance indaga il tema della punizione, invitando lo spettatore ad indossare degli esoscheletri che si muovono con volontà propria e a cui il pubblico è soggetto senza poter far altro che assecondarli.

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Bill Vorn e Louis-Philippe Demers “Inferno”

Un festival innovativo dunque, che ci riserva continuamente qualcosa di inaspettato e sorprendente; un’esperienza da raccontare, ma soprattutto da vivere.

 

 

 

 

 

 

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Autore

Carmen Capacchione

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