Intervista a Sara Bonaventura

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Dopo la premiere americana di “Moonbow thief” dello scorso 30 settembre, Sara Bonaventura, giovane videomaker trevigiana, sarà di nuovo presente all’Anthology Film Archive di New York con il video “She Vanishes”.  Il corto sarà proiettato presso il Courthouse Theater, il prossimo 2 dicembre.
Il lavoro che risale al 2010, muovendosi tra studi di estetica, visual culture, critica femminista e gender studies, affronta la dimensione femminile e, più ampiamente, la questione dell’ineffabilità dell’essere attraverso un linguaggio stratificato e pluridimensionale. Sara Bonaventura si mette così direttamente in gioco, attraverso il proprio corpo, in accattivanti ma allo stesso tempo intime ricostruzioni di un se perduto e in costante metamorfosi.

Cogliamo l’occasione dell’intervista per capire più da vicino alcune costanti del suo lavoro e proporre un’anteprima di estratti video.

– Come mai hai scelto la strada della produzione video? Da cosa nasce questa passione e chi sono gli autori che maggiormente hanno catturato la tua attenzione?

Ho cominciato a montare per curiosità più di una decina di anni fa, prima con AVID poi con Premiere, durante una convivenza in un piccolo appartamento. All’epoca dipingevo ma in un bilocale, senza uno studio, tutto stava diventando un po’ asfittico; paradossalmente ho trovato molto più spazio dentro uno schermo.
Ho sempre visto molto cinema d’autore, dai grandi classici ai b-movie, negli ultimi anni del liceo ho scoperto molto cinema underground. Fatico sempre a scegliere fra i nomi, ma non posso non citare il New American Cinema. Anche il cinema sperimentale delle Avanguardie Storiche, ma del cinema americano mi ha sempre attratto l’approccio meno intellettualistico. Posso dire che ho la cinematografia completa di Harry Smith, Kenneth Anger e Stan Brakhage, dei primi due ancora in VHS, credo significhi qualcosa.

Courtesy Sara Bonaventura

Da “She Vanishes” (courtesy Sara Bonaventura)

– Nel tuo lavoro è sempre presente una profonda ricerca che va ad indagare le radici dell’essere, tra cui anche quella legate all’identità di genere. Proprio in quanto artista e donna ti senti soggetta a limiti che riguardano la tua identità? Quali sono le artiste che maggiormente ti affascinano?

In quanto donna mi sento soggetta a limitazioni, in vari campi. Sfondi una porta aperta perché ho scritto una tesi di laurea di gender studies e visual culture per cui potrei parlare per ore. Tuttavia non mi sono mai definita una femminista. Non mi piacciono gli ismi, in genere rifuggo da ogni programmaticità ideologica, ma credo che i limiti, le differenze, persino i conflitti siano fondamentali, non solo in termini oppositivi socioeconomici, ma fenomenologici ed esistenziali.
Anche restringendo a sole registe donne underground e arty, potrei citarne molte, da Mara Mattuschka, a Martha Colburn, Allison Schulnik, Nathalie Djurberg. Ma una scomparsa recente mi ha scosso molto. Ho appreso della morte di Chantal Akerman da un amico. Non ho letto news, ma non ho potuto non pensare subito che si fosse suicidata e con questo assillo ho trascorso la notte. C’è spesso nelle donne che stimo un’urgenza, in forma di inquieta malinconia, di dolcezza tesa e nervosa che non so ben definire, ma se guardo negli occhi di Chantal, in una qualsiasi intervista, sento questa empatia. Mi affascinano le sensibilità profonde, estreme, che non sono certo appannaggio solo del femminile. Per dire, amo John Cassavetes ed i suoi ritratti di Gena Rowlands!

she_vanishes_4 courtesy Sara Bonaventura

Da “She Vanishes” (courtesy Sara Bonaventura)

– Cosa implica la tua presenza diretta nei video?

Implica due estremi: il controllo e l’abbandono. Il fatto che il corpo sia soggetto e al contempo oggetto, dietro e davanti la telecamera. Dal punto di vista pratico c’è controllo soprattutto in post produzione. Nelle collaborazioni magari c’è uno storyboard. Nelle mie autoproduzioni invece quando provo a seguire uno script, tendo a deviare, a improvvisare. Magari anche solo perché non metto a fuoco il monitor, da miope sempre più miope, o perché guardo il monitor, quando dovrei guardare in macchina, o perché sposto inavvertitamente un punto luce dopo una serie di pose di stop motion. Del resto quando si parla di corpo c’è sempre di mezzo il controllo, ma anche il suo opposto. Il corpo è uno strumento, con tutti i suoi limiti tangibili, ma oggettivato all’interno di uno schermo non saprei cosa diventi. E ciò mi pare una questione aperta ancora attuale.

Moonbow_thief_1 courtesy Sara Bonaventura

Da “Moonbow thief” (courtesy Sara Bonaventura)

– Quello che mi colpisce è che nei tuoi video, l’Occhio assume una vera e propria identità. Oltre che in forma ricorrente di simbolo, è presente anche in tutte le sue manifestazioni (ovvero si sente la sua presenza in quanto strumento che elabora, seleziona, gestisce e proietta). È veramente pazzesca la quantità di stimoli che riesci a dare in questo modo allo spettatore.
Evidentemente scegliendo le pratiche video hai posto la vista in primo piano. Cosa la contraddistingue dagli altri sensi?

L’occhio è uno dei simboli più antichi, ma anche tra i più abusati. Non nascondo come mi intrighino i rimandi esoterici, oltre a quelli iconografici. Al contempo temo un po’ l’impero della vista nella società dell’immagine. La potenza della vista e dell’immagine è onnipervasiva, orizzontale ma al contempo stratificata, superficiale ma genealogica. Oggi tutto diviene immagine attraverso un’interfaccia, anche la parola. La sovrabbondanza soffoca e questo mi sgomenta.
Tuttavia, occupandomi di cultura visiva e di educazione, mi interessa l’iconosfera in rapporto ad una coscienza critica e penso che il nocciolo della questione sia interrogarsi, più che capire, carpire le immagini. Dei cinque sensi la vista è il più complesso e culturalmente mediato. Per questo è divenuto imperante credo. Nei miei video cerco una qualità tattile dell’immagine; tento, paradossalmente, proprio di invitare a toccare con mano ciò che l’occhio vede, con il proposito di sollecitare la capacità interpretativa ed esperienziale, rifiuto compreso.
Amo moltissimo gli occhi dei bimbi. Mi è capitato di recente di seguire un progetto con loro in cui fotografavano e disegnavano proprio i loro occhi. I bambini accorgendosi del riflesso nell’iride hanno inventato molte teorie sul riflesso del mondo, ma qualcuno sosteneva che fosse solo un fotomontaggio. Forse è il fascino della vista, sembra restituire il vero e invece inganna più di altri sensi.

– Cosa rappresenta invece il disegno anch’esso presente nei tuoi lavori?

Il disegno è sempre stato presente nella mia vita, prima che nei miei lavori. Sempre molto catartico. Sono stata una bambina timida e il segno e il disegno sono stati i miei linguaggi preferenziali sino all’adolescenza. Per molti anni poi non ho più disegnato se non qualche ghirigoro studiando. Ho ricominciato un po’ dopo il liceo. Nel frattempo però avevo perso la spontaneità del disegno, anche perché il mio bagaglio di storia dell’arte era invece accresciuto, insieme alla consapevolezza. Attraverso il disegno animato a mano frame by frame, da autodidatta, sto riscoprendo molta di quella magica catarsi.

artistbook_4 courtesy Sara Bonaventura

Da “She Vanishes” (courtesy Sara Bonaventura)

– Visto che parti da una ricerca accurata ed argomentata su vari fronti ma, allo stesso tempo, utilizzi un linguaggio particolare e frammentato quale reazione ti proponi di attivare nello spettatore?

A dire il vero non penso molto allo spettatore, non in modo razionale se non altro. Non sono neppure convinta che la mia ricerca sia molto accurata, non in modo finalizzato al singolo video. Varie mie ricerche sedimentatesi negli anni si intrecciano senza un fine narrativo. L’unica scelta consapevole è quella dell’anti-racconto, o di un iper-racconto. Anche perché

gran parte del mio background è postmoderno e mi affascina il flusso tra realtà esterna e inconscio. Non credo esista una realtà solida, ne scelgo qualche frammento lasciando a chi guarda la possibilità di interpretare l’insieme o semplicemente accogliere la disorganicità come possibilità.

Mi hanno detto spesso che i miei video disorientano. A volte mi spiace sentirlo dire, altre volte penso sia bello suscitare domande più che dare risposte.

– Quando inizi un nuovo progetto, da cosa parti? Qual è la tua fonte principale di ispirazione?

Dipende molto dai progetti, però pensandoci forse altre immagini sono la principale fonte d’ispirazione. Mi annoto qualsiasi idea iconica in forma di appunti, di parole, disegni, ritagli o frammenti, una sorta di thesaurus personale. Spesso nei miei corti ci sono citazioni, inglobate nella struttura stessa, inter-testi che diventano tessuto visivo. Uso materiali dal mio archivio: ho degli hard-disk pieni di riprese fatte negli anni con varie telecamere, catalogate come un soggettario. Sto facendo la stessa cosa anche con del found footage. A volte vedo improvvisamente delle catene magiche tra tutto ciò e nasce il video. Per i video su commissione cerco un filo conduttore un po’ più ragionato, ma sempre guidata da libere associazioni di idee. Se collaboro spesso è per videoclip e lì la principale fonte è la musica, la cui fruizione per me è sempre stata comunque molto immaginifica.

– Quali sono le difficoltà nelle quali solitamente ti imbatti?

La principale difficoltà è non avere tempo. Il tempo… Penso sempre ci abbiano rubato l’elemento vitale per antonomasia.
Da una vita accantono propositi, credo come tutti noi costretti in una routine lavorativa e pure precaria. Una differenza è forse che i miei sono scritti, in fogli vaganti, in diari, in file di testo, in file premiere, in script mai finiti. Tanti progetti non finiti, che a volte ho inglobato in nuovi video. Tanti gli errori di animazione, a volte determinanti nello spostamento di significato di uno script. Tra frustrazione e improvvisa gratificazione. Il limite è qualcosa che divide ma unisce. Sempre cara al dionisiaco, piuttosto che al limes di pietra, intoccabile e sacro, ho sempre pensato il limite come possibilità, quindi potenzialmente valicabile.

abc courtesy Sara Bonaventura

Da “Moonbow thief” (courtesy Sara Bonaventura)

– Ci annunci qualcosa dei tuoi progetti futuri?

Sto collaborando. Ecco, collaborare è a volte difficile. In questo caso i confini sono nazionali perché sono stata coinvolta in un progetto voluto da un’italiana a Parigi, Giulia.
Si tratta di un progetto un po’ articolato che è ancora in fase embrionale, posso anticipare che il mio ruolo è di trait dunion tra grafica design e danza. In particolare sto cercando di ibridare animazione e video-danza; oltre a tutti i miei cromosomi incrociati con quelli di altre tre donne con background molto diversi: performance, matematica, curatela.

Ringraziamo Sara Bonaventura per la sua disponibilità e per averci concesso una visione più profonda sul suo lavoro.
Rimandiamo al suo sito per una visione completa della sua produzione:

http://www.s-a-r-a-h.it

In particolare per “She Vanishes”:

http://www.s-a-r-a-h.it/index/personal-works/she-vanishes

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Autore

Viviana Quattrini

Laureata in storia dell'arte contemporanea all'Università degli Studi di Roma "La Sapienza", collabora principalmente come critica d'arte con la galleria romana RvB Arts. Ha curato mostre istituzionali e in gallerie private. Scrive come redattrice per la rivista Nucleo Artzine.

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