C. Caligari | Non essere cattivo

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Non essere cattivo, di Claudio Caligari, Ita 2015, 100′

Casa di produzione Kimerafilm, Taodue Film

Distribuzione GOOD FILMS 

dall’8 settembre al cinema 

Il dramma della droga e dei tormenti del sottoproletariato romano. Raccontare attraverso lo schermo storie di emarginati, di esistenze declassate non è mai stato semplice. Il rischio di isolare il dramma, innalzandolo a lezione morale è più prossimo di quanto si immagini.

Claudio Caligari voleva saldare immagini del reale a un cinema di respiro documentaristico, componendo un quadro il più aderente possibile alla verità. Correva l’anno 1983 quando il suo primo lungometraggio dal titolo Amore Tossico iniziò a prendere forma. Ne fece seguito un periodo di gestazione piuttosto lungo, corollario di problemi di budget e distribuzione. Anguste questioni dovute in maggior misura alle delicate tematiche mostrate nel film e a quel senso pressapochistico di sospetto nei confronti di un progetto estraneo alla logica narrativa dominante nel cinema di allora, troppo attento nel privilegiare pellicole narrativamente più indulgenti. Nonostante svariate condizioni avverse, il film riuscì a vedere la luce, grazie anche al sostegno di Ferreri. A più di dieci anni di distanza dall’ultimo lungometraggio L’odore della notte, Caligari torna dietro la macchina da presa e lo fa scegliendo ancora il mondo legato alla periferia di Ostia. Stavolta a complicare il lavoro c’è un problema enorme, ed insormontabile, che spegne in poco tempo la vita del regista, che muore il 26 maggio del 2015, prima ancora che le riprese del suo terzo film terminassero.

«Muoio come uno stronzo con soli due film girati». Uno che ha sempre saputo cosa raccontare, e lo ha fatto tramite le immagini in grado di dire tutto di come lui percepiva il senso del fare cinema. Uno che come pochi ha continuamente lavorato per il cinema, leggendo, scrivendo e vedendo film. Contro l’orizzonte ovattato, egli proponeva un ribaltamento di prospettiva: la funzione devastatrice della droga diviene ragione di vita dei protagonisti, inseriti in un contorno sociale tumefatto dalla deprimente apatia e dallo squallore delle periferie di Ostia. Il mare come luogo di sospensione e ritrovo. Proprio attraverso questi luoghi Caligari decide di raccontare nuovamente una storia tormentata, stavolta ambientata nel 1995. Due giovani amici, Cesare e Vittorio, legati da un profondo affetto, vivono una vita di eccessi radunati in droghe, alcol e spaccio. Dietro gli abusi un’esistenza spoglia e densa di dolori incolmabili. La svolta sembra arrivare quando Vittorio incontra Linda, con il sostegno della quale riesce a trovare lavoro come manovale. Il ragazzo tenta di trascinare nel mondo del lavoro anche l’amico Cesare, ma il richiamo della strada è troppo forte. Abbandona definitivamente tutti buoni propositi con la morte della nipotina affetta sin dalla nascita da Aids. Sulla tomba della piccola giace l’orsetto di peluche regalatole dallo zio. Il giocattolo indossa una maglietta con su scritto Non Essere Cattivo. Una frase densa di senso, che in un contesto simile rammenta come anche nelle situazioni più sfavorevoli non è utopico rialzarsi in piedi. La prima parte del film si apre con una sequenza che si presenta come un omaggio ad Amore Tossico. Vittorio e Cesare durante una gradevole giornata di sole mangiano un gelato al lido di Ostia, sul lungomare. Sembrano due amici sereni, soddisfatti della vita che fanno.

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L’occhio cinematografico di Caligari ci mostra qualcosa di duro e spietato come il mondo della droga e del traffico ad essa legato, costellandolo di dialoghi memorabili per la loro fluidità e per l’acida ironia. Nessun intento stucchevolmente drammatico. Solo estremo realismo del linguaggio. Immagini accompagnate da una colonna sonora inaspettatamente presente, ma mai invadente. Il personaggio di Cesare, interpretato da un Luca Marinelli (La solitudine dei numeri primi, Tuttti i Santi giorni) di raro talento, inghiottisce la scena e aggiunge qualcosa in più ad un film di grande intensità. Caligari, forse tra gli ultimi intellettuali vecchia maniera, si sporcava le mani al fine di raccontare il fulcro essenziale delle sue vicende, lo faceva con ogni film e lo ha fatto anche con l’ultimo, con quella cattiveria e quella dolcezza di chi ama fare cinema sul serio.

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Autore

Giada Farrace

Studentessa di cinema e nuovi media presso Dams Roma Tre

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