Conversazione con Roberta Nicolai | Teatri di vetro Festival

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 Intervistiamo Roberta Nicolai, direttrice artistica di Teatri di vetro Festival dal 2007, in occasione dell’inizio della IX edizione, dal 1° al 15 novembre.
Teatri di vetro 9 :: triangolo scaleno teatro
Roma, 1-15 novembre 2015
Leggi qui il programma
 

Ludovica Marinucci – Ogni anno scegli un tema su cui focalizzarsi, un filo rosso che può guidare nella ricezione del Festival. Ci spieghi il significato de La comunità che viene, alias Teatri di vetro 9?

Roberta Nicolai – Il filo rosso non si manifesta mai a priori, non ha la natura della tesi da dimostrare. È presente in forma di interrogazione. Un’attitudine con cui osservare. Emerge poi, con la chiarezza di una locuzione, nel tempo del lavoro, mentre visiono progetti e spettacoli.

Quest’anno ragionavo sul tempo. E il titolo dell’opera di Agamben, La comunità che viene, ha risuonato come un’invocazione e una risposta.

Mi è sembrato un descrittore ampio, progressivo e capace per accogliere in sé la tensione esplicitata da alcuni progetti. Quelli in cui l’artista chiama a sé, a condividere la pratica artistica e il gesto teatrale, individui sociali esterni: gli anziani, gli homeless, i bambini, i turisti. In questi lavori si crea una comunità temporanea fatta dagli individui, si superano i discorsi retorici intorno al tema comunità.

E non solo. La comunità che viene è anche la comunità artistica che risponde all’azione distruttiva del tempo (anche del nostro tempo presente) desiderando ancora la relazione con gli spettatori, dialogando con la comunità artistica del passato e del presente.

È quest’invocazione a muovere, in direzioni diverse e a volte opposte, tutti gli spettacoli in programma. Come un sospiro sotterraneo, presente nelle scelte tematiche, nelle indagini intorno alle radici del teatro, negli attraversamenti di figure iconiche, dentro la messinscena dei vissuti. Tutto si consuma in un hic et nunc teatrale che fa comunità nell’istante in cui accade. Poi si dissolve, rimane nei qualunque, cioè in ognuno di noi.

È solo un sottotitolo. Ma è risuonato semplicemente vero.

LM – La location principale del Festival si riconferma sempre Roma. Perché? In che modo questa città bellissima e difficile influenza il festival?

RN – Roma è ormai una città in cui la difficoltà e lo stallo imposto dalle condizioni materiali toccano e, a tratti, superano il livello di guardia. Per i cittadini è sempre più difficile orientarsi all’interno della cosiddetta offerta culturale, spesso di puro consumo. L’arte in generale è relegata in una zona morta dell’esistenza. Non abbiamo più parole comuni per dire molte cose e di conseguenza la nostra rappresentazione del mondo si sfoca. La sensazione costante è lo spappolamento e nella pappa tutto è assimilabile a tutto. L’indistinto avanza.

Ma è la mia città.  Camminiamo tra le sue rovine e macerie, antiche e recenti.

TDV fa una cosa apparentemente scontata: mette l’arte al centro della propria progettualità, e insieme all’arte il pensiero che la muove.  Forse è solo un’indagine intorno alla nozione di contemporaneo, che interroga e strattona, per quanto possibile, gli steccati in cui siamo costretti ad operare.

… Forse mi trattiene qui la presunzione che la nostra voce, come di altri, sia necessaria.

LM – Come funziona la selezione degli artisti che si esibiranno? Conferme e sorprese di questa edizione?

RN – La selezione nasce sempre dalla sintesi tra la conoscenza del panorama artistico e la nozione di contemporaneo.

Ricevo quotidianamente proposte per il festival. Alcuni sono progetti embrionali; altri lavori già andati in scena. Alcuni spettacoli riesco a vederli dal vivo. Per altri sono costretta ad accontentarmi del video. Non seguo una sola prassi. Cerco la prossimità con ogni singolo percorso, con ogni lavoro.

In alcuni casi la scelta nasce da relazioni artistiche coltivate negli anni e ciò che ci muove entrambi (me e gli artisti) è il reciproco interesse artistico, il desiderio e la scelta di fare tratti di strada insieme, condividendo pensiero oltre che progettualità. In altri casi è un’osservazione a distanza che si concretizza su un progetto specifico e a volte velocemente prende spazio, moltiplica l’interesse e lo scambio. Altre volte resta un episodio.

Ci sono artisti che incontro ripetutamente girovagando per l’Italia… altri li conosco a Roma, la sera dello spettacolo.

La selezione non è una lista. Non compilo elenchi. Né seguo logiche di utilità. Restituisco agli artisti il loro ruolo e da questo costruisco il rispetto per il pubblico.

Portare avanti TDV, edizione dopo edizione, è un tale rischio e una fatica tale che ogni scelta deve essere necessaria. Arbitraria ovviamente, ma necessaria all’interno di una visione d’insieme.

LM – Ci vuoi dare qualche anticipazione per la X edizione?

RN – Voglio continuare ad indagare il movimento, la dialettica tra lo spazio individuale e lo spazio collettivo, indagine già avviata con il progetto singolare/plurale che è stato ricco di tanti elementi di riflessione, in particolare in merito ai processi di lavoro e la loro relazione con la concretizzazione in opere.

Questa nona edizione è in bilico sul tempo. In anticipo rispetto al programma della IX, abbiamo messo on-line l’Invito a presentare progetti per la X. L’esigenza è riallargare lo sguardo sul panorama artistico Dopo poche ore dalla messa on-line dell’invito erano già arrivati oltre 40 proposte. Evidentemente era un bisogno reale!

A partire dal movimento tra spazio individuale e spazio collettivo, sto pensando una nuova sperimentazione: la direzione artistica condivisa tra me e altri artisti per una piccola sezione del festival. Quello che mi interessa è creare una zona di confronto tra gli artisti sul lavoro di altri artisti.

Mi piacerebbe poi coinvolgere il medesimo gruppo di artisti in una pratica di scambio di poetiche… ci sto ancora ragionando. Si tratta, nell’insieme, di un tentativo di mettere gli artisti in una dimensione singolare/plurale, di rendere l’oggetto dell’indagine, un campo di sperimentazione.

Avverto inoltre l’esigenza di mettere attenzione all’ambito della formazione e dell’alta formazione. Vorrei affiancare alla programmazione di spettacoli un ventaglio di opportunità formative. L’intento è anche teorico: fotografare le metodologie impiegate e le elaborazioni pedagogiche delle poetiche e della ricerca degli artisti della scena contemporanea. Molti di loro sono anche formatori… ma ad oggi non esiste una mappatura di come vengono acquisite, modificate e fatte proprie le metodologie, di quali siano le strategie memoriali delle pratiche attorali, registiche, teatrali, coreutiche e coreografiche… mi interessa cercare di capire come la scena contemporanea trasmette i suoi saperi alla comunità che verrà.

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Autore

Ludovica Marinucci

Project Manager di Nucleo, mi occupo delle partnership e della promozione del nostro progetto editoriale. Scrivetemi a progetto@nucleoartzine.com

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