Titolo originale Metropolis (1927)
Durata 153’
Regia Fritz Lang
Soggetto e sceneggiatura Thea von Harbou
Fotografia Karl Freund, Gunther Rittau
Effetti speciali Ernst Kunstmann
Musiche Huppertz, Club Foot Orchestra, Giorgio Moroder
Scenografia Otto Hunte, Erich Kettelhut, Karl Vollbrecht
Ruoli principali Alfred Abel (Joh Fredersen), Gustav Frohlich (Freder Frederson) Brigitte Helm (Maria) Rudolf Klein-Rogge (Rotwang)
Siamo nella Germania degli anni 20, nel subbuglio della Grande Depressione e in mezzo all’insicurezza sociale. L’onda espressionista che investe cinema, letteratura, teatro e architettura diventa manifesto del collasso dei valori civili della nazione.
A mostrare questa realtà, catapultata in un fantascientifico 2026, in un turbine di musiche, danze robotiche, luci e oscurità, è Fritz Lang, nel suo indiscusso capolavoro del 1927, Metropolis.
Metropolis è una città al cui interno si trovano tre realtà distinte, impenetrabili.
In una struttura architettonica che prende ispirazione dai grattacieli della Grande Mela – da cui Lang rimase fortemente colpito – nasce il primo strato della città: quello dei ricchi e dei potenti, dei giochi nei Giardini Eterni e dello svago nei teatri. Un grigio benessere oscura i volti dei suoi abitanti.
Ad un livello più basso, lontano dal sollazzo e dalla luce del sole, troviamo la città delle macchine, o dei lavoratori. Scopriremo ben presto che nel livello superiore non si farà molta attenzione a quale termine usare, come se uomo e macchina si equivalessero.
Nel sotterraneo, dove l’uomo ha il tempo del lavoro ma non il tempo di se stesso, i movimenti sono scanditi da folli ritmi lavorativi accompagnati da musiche inquietanti. Gli operai alienati e insoddisfatti, costruiscono, con claustrofobici movimenti meccanici, un lussuoso benessere di cui non potranno mai godere.
Scendendo più in profondità, nelle catacombe della babelica costruzione, una donna, Maria, portatrice di speranza e armonia, infonde coraggio ai lavoratori senza nome.
Il cuore deve essere mediatore tra il cervello e le mani. Questo il messaggio di speranza che offre a chi l’ascolta.
Non aspetteremo ancora a lungo: questa la risposta degli operai.
In un vorticoso intreccio di vicende e personaggi, tra scambi di ruolo e pericolose decisioni, cresce lentamente la rivolta dei lavoratori, non più disposti al sacrificio della loro vita. Nell’utopica Babele la rivolta diventa rivoluzione portando con sé la distruzione. Nel tentativo di risorgere alla vita, in un impeto di disprezzo e rancore, gli operai distruggono le macchine con cui sono stati da sempre identificati e che sono strumento indispensabile di sopravvivenza sia per gli inquilini del piano di sopra che per loro stessi. Riprendendo il controllo della situazione, Maria e Freder, figlio del crudele despota di Metropolis, diventano i cuori, i mediatori tra il tirannico cervello e la mano mutilata.
L’happy ending non è voluto da Lang, che in una prospettiva più brutale avrebbe salvato i due mediatori, e avrebbe incendiato il folle geometrismo di Metropolis in un esplosione apocalittica. Per ora, grazie a Thea von Harbou gli operai sono salvi.
L’identificazione del lavoro con la vita viene da Lang mostrata in una prospettiva annichilatoria e privativa dietro la quale non si cela una corrispondenza, ma un annullamento dell’uomo e dei suoi bisogni.
Si percepisce così la differenza tra il vivere e il sopravvivere ed emerge con forza il diritto inalienabile dell’uomo alla vita.
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