Sono specchi deformanti quelli in cui le serve, Chiara e Solange, vedono riflesse le loro identità, orribilmente alterate da spiazzanti giochi di transfert e ambiguamente confuse dall’oscuro rapporto con la Signora, la padrona di casa.
Specchiere e fiori sintetizzano la trama e riempiono la scena, contraddicendosi però nella funzione: lo specchio svela, seppur in modo fallibile e incompleto, e il fiore nasconde la sostanza dell’essere. Io agisco in modo sotterraneo, camuffata da tutti i miei fiori.
Ogni personaggio, poi, è una superficie riflettente in carne e ossa, un impietoso rimando all’interiorità dell’altro: dal reciproco confronto tra gli elementi del diabolico triangolo, aspetti contraddittori ed estremi prendono sfuggenti, caleidoscopiche forme. Essere e apparire, verità e menzogna, realtà e fantasia, amore e odio sfumano i loro confini, fondono la loro essenza in una continua, ineluttabile mescolanza.
La solarità intrinseca nei nomi delle inservienti mal si adegua ai melmosi meandri del loro animo, che si nutre di quanto più morboso e patologico possa esistere nella natura umana, e all’indugiare nel profondo abisso delle tenebre.
La sfida è alta, sia da un punto di vista registico che interpretativo, e Fanny Cerri, Elisabetta Carpineti e Francesca Romana Cerri la superano brillantemente, riproducendo in modo mirabile ed estremamente efficace le più sommesse sfumature di personalità tanto complesse.
La regista Francesca Romana ha voluto mettere risalto il carattere sociale dell’opera di Jean Genet, attualizzando le contraddizioni della lotta di classe, gli atavici conflitti ribollenti in una società divisa in ceti e categorie (ricchi e poveri, servi e padroni, vincenti e sventurati), nonché le conseguenze, a livello umano e psicologico, dell’espulsione dal circolo degli eletti. Solitudine, emarginazione, invidia, desiderio di vendetta tormentano il cuore dei servi, di coloro che rappresentano oggi larga la maggioranza della popolazione, di quegli individui che, nella brama di assassinare il padrone e nelle azioni più impulsive e tragiche, cercano solo di eliminare l’ingiustizia collettiva, che comporta la troppo frequente identificazione dell’uomo con la merce.
Il rapporto tra i due estremi sociali è di interdipendenza. Se la serva esiste è grazie ai miei strilli, dirà la padrona. Ma senza i sottoposti da maltrattare, rispetto a chi la Signora si sentirebbe superiore? I domestici non appartengono all’umanità, ma sono necessari come i becchini, come gli scarica-fogne. E’ quasi un legame indissolubile tra due opposti, lo yin e lo yang, il giorno e la notte, il freddo e il caldo: non c’è l’uno senza l’altro. Non c’è soggetto senza oggetto. Esiste, a questo punto, una vera speranza di riscatto?
Non essendoci sulla scena una chiara contrapposizione tra Bene e Male, l’identificazione con l’umanità schiacciata, oppressa, umiliata dalla prepotenza dei padroni diventa difficoltosa, così come lo è la conseguente esperienza di un’eventuale, catartica liberazione.
Rimane costruttiva l’indagine della regista – supportata dall’encomiabile bravura delle attrici – che svela, a distanza di mezzo secolo, i meccanismi perversi di una società terrorizzata dalla rottura di obsoleti, mostruosi equilibri.
LE SERVE
Di Jean Genet
Regia Francesca Romana Cerri
Con Elisabetta Carpineti, Fanny Cerri, Francesca Romana Cerri
Scenografia Roberto Morea
Luci e suoni Luca Maria Rossi
Dal 27 al 29 aprile 2012 – Teatro Piccolo Re di Roma
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