Titolo originale: 17 Filles
Produzione: Denis Freyd e Andrè Bouvard
Regia e sceneggiatura: Delphine Coulin e Muriel Coulin
Fotografia: Jean-Loius Vialard
Scenografia: Benoît Pfauwadel
Costumi: Dorothée Guiraud
Montaggio: Guy Lecorne
Cast: Louise Grinberg, Roxane Duran, Esther Garrel
Durata: 90 min.
Tratto da una storia realmente accaduta in Massachusetts nel 2008, 17 ragazze narra la vicenda di un nutrito gruppo di adolescenti del medesimo liceo che prendono la decisione di portare avanti una gravidanza tutte insieme, ancora minorenni. Guidate da Camille (Louise Grinberg, “La classe”), splendida e forte, programmano di cambiare la propria vita e crescere unite i propri figli.
Un racconto di solidarietà e autoaffermazione compiuta in maniera forse imperfetta e folle ma autentica, così come solo i ragazzi sanno fare. Dalla realtà di una provincia americana, il fatto viene raccontato sullo sfondo di Lorient, cittadina francese sulle sponde dell’Atlantico dove le due registe Coulin sono cresciute.
Alti palazzi geometrici, la spiaggia e la trepidante attesa del sabato sera, unica occasione di ritrovo e divertimento, cullano l’esistenza di una generazione governata dalla noia e dall’insoddisfazione per le opportunità prospettate dagli adulti, incapace di crearsi un’alternativa di vita. E’ l’amore che manca, l’amore che le ragazze ricercano. Amore che sognano di trovare in un piccolo essere che sarà incondizionatamente legato a loro.
Nella realtà come nel racconto, l’attenzione del pubblico è convogliata verso l’innocenza immatura che porta un gruppo di adolescenti a trovare una soluzione simile per avere altro nella vita. Le registe si concentrano intorno ad un atto di ribellione, che viene narrato con la coscienza di una mancanza certa di un possibile lieto fine.
Camille, origine ed eroina della battaglia, assurge a simbolo della complessità della vicenda, mostrando da una parte la vigorosa determinazione nella propria scelta di cambiamento, e dall’altra la fragilità che la porta a spingere le compagne all’emulazione, scappando così dal terrore della solitudine. Solitudine che nel film regna sovrana grazie all’assoluta mancanza di una figura che tenti un avvicinamento alle motivazioni delle ragazze o fornisca loro supporto, come se da parte degli adulti l’incapacità di capire e dare un’alternativa alle giovani dominasse incontrastata anche all’estremo del loro smarrimento.
In Francia accusato di apologia di gravidanze collettive, in Italia vietato ai minori di quattordici anni, proiettato nelle assemblee di istituto di molti altri paesi del mondo, il film è corredato da un notevole e giovanissimo cast e un’interessante ricerca nella fotografia, seppure tutto il contesto faccia pensare ad una produzione che punta specificatamente ad un pubblico adolescente, sacrificando in questo modo alcune sottigliezze, per apparire un ritratto in cui senza troppo approfondimento un giovane possa rivedersi.
Il sogno di un’utopia estrema e difficile, impossibile da giudicare, condotta in nome dell’amore e della condivisione, per sognare un futuro diverso di cui sentirsi indiscusse protagoniste, attraverso una rivoluzione che passa per l’arma più importante di ogni essere umano: il proprio corpo. Una storia di piccole donne, che dal mare che le circonda cercano di rubare per la propria esistenza leggerezza e forza.
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