di Pier Paolo Pasolini
drammaturgia Emanuele Trevi
regia Massimo Popolizio
con Lino Guanciale
e con Sonia Barbadoro, Giampiero Cicciò, Roberta Crivelli, Flavio Francucci, Francesco Giordano, Lorenzo Grilli, Michele Lisi, Pietro Masotti, Paolo Minnielli, Alberto Onofrietti, Lorenzo Parrotto, Cristina Pelliccia, Silivia Pernarella, Elena Polic Greco, Francesco Santagada, Stefano Scialanga, Josafat Vagni, Andrea Volpetti
scene Marco Rossi
costumi Gianluca Sbicca
luci Luigi Biondi
canto Francesca Della Monica
video Luca Brinchi, Daniele Spanò
assistente alla regia Giacomo Bisordi
11 Novembre, Teatro Argentina, Roma
Il Teatro Argentina ha dato il via alla Stagione Teatrale 2016/17. Ragazzi di vita, di Pier Paolo Pasolini, per la regia di Massimo Popolizio, è stato un ottimo apripista.
In scena 18 talentuosi attori, coadiuvati da Lino Guanciale, nel ruolo del narratore onnisciente dimentico della sua prestigiosa posizione per fondersi nell’azione scenica, ma senza mai interferire troppo, abbandonato ad un’ingenua scoperta contemplativa di ciò che accade attorno a sé.
Guanciale crea da subito un legame empatico con il pubblico, che si riversa non solo nei confronti del “Pierpà Nazionale”, ma che induce a guardare con affetto e spesso anche con senso di appartenenza il Riccetto, Agnolo, Begalone, Alvaro, e tutti quei “ragazzi di vita” protagonisti degli otto quadri in cui si suddivide lo spettacolo. Ogni quadro è titolato mediante proiezioni video – Luca Brinchi, Daniele Spanò – che accompagnano il lettore/spettatore per tutto il romanzo. Il duplice ruolo in cui si identifica inevitabilmente il pubblico è frutto di mirate scelte registiche. A Massimo Popolizio non basta infatti la figura di un narratore che ammira, vive e racconta: è compito di ogni singolo attore. Vedremo perciò in scena continui passaggi dal discorso diretto a quello indiretto e viceversa, attraverso attori che commentano e narrano ciò che accade o sta per accadere. Ne deriva una messinscena dichiaratamente antinaturalistica, dove i personaggi risultano liberi da complessi sostrati psicologici, ma estremamente “umani”, volti al costante ma fugace soddisfacimento dei più naturali istinti. Emblematica è la scena de I cani, in cui agli attori basta muovere una mano per rappresentare una credibilissima coda, e indossare magliette con su scritto il sesso dell’animale o la razza. I cani antropomorfi non sono altro che l’ennesima manifestazione di quella società proletaria, sempre al limite della violenza e della spregiudicatezza, che per una volta può esplicitarsi in tutta la sua brutalità animalesca. Eppure proprio all’inizio dello spettacolo avevamo visto il Riccetto – Lorenzo Grilli – saltare letteralmente in braccio al narratore, che in quel momento rappresentava il fiume Tevere, e farsi portare sino all’estremità destra del palco, per trarre in salvo una rondinella, sotto forma di calzino, vittima delle torbidi correnti salmastre.
Ragazzi di vita è tutto questo: è la commistione di sentimenti contrastanti, risate sguaiate e pianti sommessi; è la vita che si oppone alla morte, tenendone sempre vivo l’odore; è sopraelevazione dai bassifondi, consapevoli che in basso si cela la più alta poesia.
Tutto il cast, attoriale e non, ha contribuito a rendere notevole l’esperienza teatrale, ma un plauso va soprattutto a Giampiero Cicciò e al già citato Lorenzo Grilli. Il primo per essersi calato con straordinaria maestria in un gioco di equilibri, tra sincero dramma ed esasperazione, nell’interpretare un omosessuale quasi cinquantenne – identificabile probabilmente con lo stesso Pasolini, – che si lascia trascinare nei più dimenticati anfratti romani per assaporare ancora il piacere che può dare l’incontro con un corpo che non conosce il peso dell’età. Il secondo invece per aver sostenuto abilmente la scena in più di metà dei quadri di tutta l’opera, dando al personaggio del Riccetto un’estrema vitalità. Collante perfetto, grazie alle sua furbizia malandrina che si fonde spesso con autentica genuinità, di tante diverse storie, seppur tutte uguali.