L’ultimo lavoro di Stefano Velotti, professore associato di Estetica presso l’università “La Sapienza” di Roma, si presenta come un libretto denso e ricco d’informazioni. La filosofia e le arti è, infatti, una complessa ricognizione di alcune problematiche presenti nella cosiddetta “filosofia dell’arte analitica” nel tentativo di comprendere a quali condizioni -sempre se esistano condizioni date e predefinite- un oggetto possa essere realmente definibile come un’opera d’arte.
Il libro, nelle prime battute, sottopone, allo sguardo del lettore, una lucida e sintetica comparazione dei differenti metodi d’indagine usati, di fronte alle opere artistiche, dai filosofi analitici -di matrice anglosassone-, da quelli continentali -soprattutto tedeschi, francesi, italiani- e, infine, dagli storici dell’arte; gettando, allo stesso tempo, più di un dubbio sulla possibilità di una filosofia dell’arte intesa come disciplina specifica. Giungiamo così, insieme all’autore, a un primo evidente risultato, ovvero alla determinazione del concetto di Rappresentazione come indispensabile per qualsiasi oggetto che identifichiamo come un’opera d’arte. Non rinunciamo mai all’idea che un’opera significhi qualcosa e solleciti un’interpretazione e un nostro apprezzamento -o, magari, una nostra netta disapprovazione-. E’ questo lo spunto per setacciare e mettere sotto torchio numerose teorie filosofiche sull’arte di autori analitici quali Wollheim, Gombrich, Danto, Goodman, Breadsley, Ferraris. Si evidenziano limiti e pregi delle loro speculazioni filosofiche arrivando a un’ulteriore conclusione: l’arte, afferrata come esperienza, ossia come esibizione esemplare di differenti modi di orientamento nel mondo, deve darsi all’interno di una riflessione estetica da intendere come “una riflessione sul lavoro dell’immaginazione”, nostra facoltà mentale e, contemporaneamente, sensibile.
Cominciamo a scoprire come l’immaginazione sia già stratificata nella più triviale delle percezioni. E’ facile cogliere elementi immaginativi in un’esperienza complessa, come, ad esempio, nella visione di un quadro di Picasso o Magritte; assai più difficile è la capacità di coglierli in una semplice e fastidiosa bruciatura. L’immaginazione si propone come quel dispositivo che, oltre a produrre immagini, riesce a dare unità alla molteplicità delle nostre percezioni. Il ritorno al Kant della Critica della Facoltà di Giudizio, e alla magistrale lezione che ne trasse E. Garroni, è qui evidente. Qui Velotti azzarda un’ulteriore ipotesi che si rivela essere vincente: l’immaginazione ci mette in dialogo con le opere d’arte attraverso analogie, differenze, mediante un “mettersi in gioco” e uno “stare al gioco”. L’esempio, calzante, avviene tramite tre opere di Louise Bourgeois: Janus in Leather Jacket, Janus e Janus Fleuri (foto), tutte e tre realizzate nel 1968. Senza avventurarci nell’interpretazione proposta da Velotti di Janus Fleuri, possiamo affermare che, in fondo, l’opera di Louise Bourgeois, con la sua inquietante presenza sospesa, ci chiede d’immaginare, di “far finta di vedere in essa” (pag. 76) qualcosa. La nostra immaginazione, insomma, ci consente di “metterci nei panni di un altro” non tanto cercando di supplire a una carenza del reale, quanto piuttosto a una “supplenza di posizioni soggettive non realmente disponibili” (pag. 79).
Nell’ultimo capitolo ci troviamo di fronte all’esempio di un’opera multimediale capace di (ri)-attivarsi continuamente nell’incontro con il pubblico: Quelli che trascurano di rileggere si condannano a leggere sempre la stessa storia di Marzia Migliora. Opera curiosa in cui persone comuni, né storici, né critici d’arte, hanno semplicemente detto cosa provavano, sentivano, di fronte a ventidue opere del Museo del Novecento di Milano. L’artista, successivamente, ha montato i vari “racconti” e creato un percorso audioguidato che possiamo ascoltare visitando il museo. E’ la genesi e l’apice dell’immaginazione che, addirittura, si mette in moto in tre differenti occasioni: l’immaginazione dello spettatore, l’immaginazione di Marzia Migliora nel montare, la nostra immaginazione di fronte alle opere mentre ascoltiamo le parole di questi spettatori.
Mettendo in scacco l’idea che un’opera d’arte mostri semplicemente le intenzioni dell’autore, possiamo asserire che una buona interpretazione significhi partecipare, in maniera più o meno favorevole, più o meno interessante, al gioco creato dall’opera. Dunque, ci possono essere molte interpretazioni argute di una singola opera d’arte conferite dalla stessa “ricchezza immaginativa” dell’oggetto in questione. Il giudizio di gusto che ne traiamo, sia esso di piacere o di dispiacere, mette in atto così un lavoro interpretativo che ci consente di sentire la nostra volontà di riorganizzare l’esperienza in maniera sensata, proprio dopo aver “usufruito” dell’opera. L’immaginare si lega, in maniera fortissima, all’interpretare e al giudicare fornendo un punto di partenza non solo all’estetica, ma anche alla politica e alla morale. Il giudizio estetico e l’interpretazione scaraventati fuori dalla porta dalla filosofia analitica, rientrano così da quella finestra che Velotti, con notevole abilità critica, ha saputo scardinare.
LA FILOSOFIA E LE ARTI. SENTIRE, PENSARE, IMMAGINARE
di Stefano Velotti,
edito da Laterza, Roma-Bari 2012,
foto Louise Bourgeois, Janus in Leather Jacket, Janus e Janus Fleuri, 1968, esposizione alla Tate Gallery.