A.A. AMERICAN ACCOUNT: RIDETE, RIDETE…!

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Io sono una supernova di energia negativa che sta per esplodere…

Sei personaggi esplosivi e un palcoscenico vuoto sono gli ingredienti con cui il regista Pierpaolo Comini dipinge un girone infernale di comica alienazione umana, statunitense ma non solo, su testi di Eric Bogosian.

Si accendono le luci e lo spazio è invaso da una presenza oscura, inquietante, un clochard satanico e untore, che (con le molecole esalate dai propri escrementi) delira di contagiare il mondo, appestandolo col suo stesso male: una lebbra psico-fisica progressiva e letale, annichilente. E’ una fantasticheria di contagio assurda, la sua, che però diabolicamente si avvererà, nei cinque personaggi successivi che si avvicenderanno sulla scena. Un unico attore, Stefano Skalkotos, dà loro vita generosamente, senza risparmio e con abilità trasformistica, lasciandoci masticare amaro, mentre ridiamo. Quelli che ci regala sono tipi umani esilaranti nelle loro perversioni estreme, ma drammaticamente affetti dallo stesso male: un’incolmabile solitudine, fatta d’ignoranza e d’incapacità di amare. Il sesso è per tutti i personaggi una pratica animale e compulsiva, che resta masturbatoria anche in presenza del partner. Il proprio corpo e quello dell’altro sono infatti strumento di puro piacere narcisistico, insaziabile, perverso, spinto all’estremo. Le droghe subentrano laddove neppure il sesso appare più sufficiente a produrre adrenalina, a colmare il senso di vuoto e di noia che la vita non appaga. Stefano Skalkotos ci imbarazza, ci strappa la risata, con la sua fisicità libera e oscena. Le sue tante voci, diverse per ogni personaggio, si fondono in un grido comune di rabbia indiscriminata, rivolta al nulla, a un aldilà sordo e ormai indifferente. Il turpiloquio, fantasioso e dissacrante, è il mezzo espressivo inefficace e infantile con cui l’uomo di oggi s’illude di attestare la propria presenza nella realtà: è un linguaggio fragile, un tentativo patetico di sbattere in faccia al mondo un disagio inane, represso, non capito e incurabile, poiché abbandonato all’indifferenza. E’ così che il pusher drogato compulsivo, il piccolo-borghese violento, il paziente represso in terapia di gruppo, l’imbonitore-santone, il giovane alla deriva, si ritrovano legati dalle stesse corde, intrecciano uno stesso filo conduttore, denunciano un identico male sociale. Sono i mostri creati da una società individualista, incolta, vuota e disperata; una società che lascia l’uomo a dibattersi ridicolmente in preda all’isolamento, nell’impossibilità di crescere e di maturare, senza una rete di relazioni che lo nutra e dia senso alla sua vita.

A.A. American Account, vincitore del premio Allievi dell’Accademia Nico Pepe (Premio Nazionale Giovani realtà del Teatro ’09), racconta un’America che non è lontana, anzi è già qui; da tempo ci appartiene e ci rende, nell’intimo, dei perduti clochard.

A.A. AMERICAN ACCOUNT – Sei monologhi sull’America ispirati alla drammaturgia di Eric Bogosian

regia Pierpaolo Comini

con Stefano Skalkotos

disegno luci Paolo Battistel

fotografia Simone Padovani

 

11-16 ottobre 2011, Teatro Furio Camillo, Roma

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