Ciò che distingue uno spettacolo teatrale valido da un mediocre allestimento è il cuore. Cioè è l’attore. L’attore che mette tutto il suo cuore in quello che fa emana un bagliore che acceca, che quasi fa male. E la luce non si può ucciderla, checché ne pensino Mirella, Carlo e Rut. La luce può uccidere, ma lei… lei non la si sopprime. Lei è emanazione rivelatrice, che tutto avvolge. E travolge. Si salvi chi può.
Mirella, Carlo, Rut: sinfonia di personaggi scissi, deportati da sé, legati da un filo drammaturgico che ne intreccia le vite, come pretestuosamente, per restituirle moltiplicate in riverberi di ironia e di tensione emotiva.
Mirella da bambina ha subìto abusi sessuali. Oggi ha una personalità compulsiva e con tutte le sue forze desidererebbe tanto non avere un corpo.
Carlo è stato educato alla logica del divieto. Oggi porta con sé la paura che aveva degli adulti: reprime tutti i suoi istinti e ha scelto di vestirsi da coniglio.
Rut è cresciuta abbandonata a se stessa, senza genitori e soprattutto senza valori. Oggi ha finito per idolatrare il mito di una madre superficiale ed assente.
La visione del mondo che ne deriva si esprime solo per negazioni. Castrazioni. Sottrazioni. Mirella, Carlo e Rut sanno solo da cosa fuggono, sanno solo quello che non vogliono, ma per il resto mai sapranno distinguere la loro ombra dalle tante ombre della notte.
L’evocativa, curatissima regia affida al corpo di ciascun attore il miracolo di chiamare in causa, materializzandoli, i grandi assenti delle storie dei tre personaggi. Corpi e voci degli antagonisti vivono sulla scena come incamerati dagli stessi corpi e dalle stesse voci dei protagonisti, come se ognuno di questi ultimi fagocitasse il suo proprio carnefice: Mirella ingoia la figura paterna, legata al rimosso di infantili giochi proibiti; Carlo custodisce in sé l’invadenza meridionale di un’intollerante nonna burbera e manesca; Rut ingloba il modello della madre attraverso il suo culto, che si nutre di imitazione vuota e di scintillio dell’apparenza.
Sono macchiette raccontate con grottesca comicità; personaggi che si dibattono in scena, ma che non scelgono mai; non possono scegliere perché ciascuno di loro è anche nemico di se stesso, non gli è dato di deragliare dal ruolo predeterminato per lui. I rifiuti non possono alzare la voce.
La scelta non è vera scelta, se noi siamo a subirla, piuttosto che deliberarla coscientemente. La scelta non è vera scelta, quando c’è sottrazione degli strumenti logico-razionali indispensabili al soggetto che sceglie. Detta così sembra una folgorante, mostruosa metafora sui nostri deprecabili tempi attuali…
Vincitrice nel 2010 del Premio Innesti – Campo Teatrale, questa pièce i cui tre giovani autori corrispondono agli attori stessi, lodevoli e pieni di cuore, è dedicata soprattutto a chi non ha scelta. Forse proprio affinché si disveli all’occhio e al cuore dello spettatore – come chi agisce in scena sera per sera lo disvela a se stesso – il sottile confine tra scegliere ed essere piuttosto scelti. Essere scelti dalle scelte di altri, essere scelti da un Super-io che ci depreda.
LA SCELTA
Spettacolo vincitore 2010 Premio Innesti – Campo Teatrale
scritto, diretto e interpretato da Lucrezia Agosta, Felice Ferrara, Helga Micari
dal 28 al 30 ottobre 2011, h. 21:15 / domenica h. 18
Teatro Furio Camillo, Roma
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