Titolo: Roma: Elettri Città Artista: Abel Herrero Luogo: Z2O Galleria, Via della Vetrina 21 19 marzo – 3 maggio 2014
La porta a vetri scherma il brusio della frenetica quotidianità di Via del Governo Vecchio, il contrasto è forte con il silenzio nella prima sala della personale di Abel Herrero. Due quadri senza titolo campeggiano sulle pareti e il contrasto tra il bianco e il nero è forte.
Il monocromo è scarnificato: quella che sembra il bizzaro risultato di un esperimento di fotografia scientifica di pioggia battente o un dettaglio congelato e ingrandito di Ocean without a shore di Bill Viola (2007) si rivela essere il risultato della lotta tra la pittura nera e l’abilità dell’artista nel lasciar parlare anche la tela attraverso tempestivi interventi di sottrazione materica. Per accedere alla seconda sala bisogna salire pochi gradini, ma l’opera che campeggia nel mezzo, Stalattite, ci sprofonda nella cavità della terra: l’acqua che avevamo guardato cadere gocciola in una macchia diffusa di color nero dal soffitto, giù, fino in un vaso di marmo dal design minimalista, accompagnato da droni e bassi profondi diffusi nell’ambiente. Cambiando sala, la musica cambia: disturbi elettromagnetici, rumore bianco e suoni acuti sembrano uscire da due vasi addossati alla parete che separa le due enormi tavole nere segnate dalle ramificazioni dei lampi. Orientarsi significa seguire un sentiero: qui è dove si torna alla superficie, ecco l’esplosione dopo il raccoglimento. Bisogna guardare con attenzione, senza paura – è tutta finzione.
Movimento e stasi si appartengono: condensazione ed espansione si rivelano accenti di una partitura indissolubile, immanente alla contingenza del fenomeno atmosferico, reso immortale dallo sforzo rappresentativo di Herrero che, sfruttando il limite stesso del mezzo pittorico, esaltandolo attraverso il filtro della monocromia, riesce a far coincidere forma naturale e astrazione essenziale, geometrizzante. Il nero, pur mantenendo il tradizionale legame con l’oscurità e il mistero – segnalato dai Vasi Comunicanti che riattualizzano formalmente le antiche urne funerarie etrusche, non è un inno alla malinconia, ma un’esaltazione della distanza necessaria, della disciplina indispensabile affinché riflessione e manipolazione cooperino per la trasmutazione dell’ambiente in un mondo abitabile.