ABUSO DI POTERE

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“Non mancano certo gli imperatori. Sono i veri uomini a mancare”

 

L’ambientazione che evocherebbe il nome Caligola non trova spazio sul palco del Teatro della Cometa. Nessun riferimento alla storia di Roma, se non una toga rossa poggiata distrattamente su una sedia. La tragedia greca di Camus si ricrea all’interno di un buio scantinato, dove una compagnia di attori si rifugia per scampare ai bombardamenti, al cui suono risponde il tuonare di un prepotente temporale. I lampi, che a tratti illuminano la stanza, sono il simbolo di quella luce fioca, la ragione, che ha cercato di rischiarare invano l’oscurità. Parliamo del 1941, anno dell’occupazione di Parigi da parte delle truppe naziste. Qualche locandina consumata, affissa al muro, modello Belle Époque, e le scritte Sortie e Défense de fumer favoriscono il nostro processo di collocazione storica del dramma. Gli artisti, dall’aria angosciata e sovversiva, sono vestiti in stile Borsalino. Nonostante questa concessione al frivolo, si respira un’aria di morte, cupa e misteriosa. Non a caso, l’azione si apre con l’allestimento di un funerale. C’è la tragedia accaduta, ossia la morte di Drusilla, sorella-amante dell’imperatore, e quella allora in corso, lo sterminio di milioni di esseri umani. Ci sono due despoti accentratori, uno per l’antichità e l’altro per i tempi moderni: Hitler e Caligola, la follia al potere.

Caligola non piange perché innamorato. Il suo cuore cinico e lussurioso non glielo permetterebbe. Come apprendiamo dalle parole della consorte Cesonia, impersonata da una raffinata ed elegante Maria Letizia Gorga, gli manca semplicemente l’oggetto del suo desiderio. Non è solo un male dell’anima: è il suo corpo che soffre. Egli non è affatto quel mostro, colpevole solo di aver troppo amato. Caligola, imperatore capriccioso e patetico, indugia in modo infantile sul suo dolore. Tutto l’Impero deve prostrarsi alla sua volubilità: i ricchi verranno diseredati e a lui sarà portata la luna. Sì, proprio la luna. Potremmo definire tutto questo processo un delirio fantasioso. È al suo confronto che la pazzia di Hitler assume tratti ancora più inquietanti, perché controllata, misurata, mostruosamente normalizzata. Manuele Morgese, con occhi spiritati e animo scosso da inquietanti allucinazioni, non esagera affatto nelle sue esternazioni di demenza, benché sembrino a volte affettate, perché è nell’iperbole che si consuma il dramma dell’uomo-cesare. Nell’altalenante fluttuare di emozioni estreme, emergono lucide riflessioni sulla natura umana, quanto mai attuali: l’amore, la morte, infelicità, la solitudine fatta di spettri e non di silenzi. Anche in questo caso, l’interprete sa rendere al meglio momenti di grande drammaticità. Questo mondo, così com’è, non è sopportabile. Gli uomini muoiono e non sono felici. Ma, seguito com’è da un codazzo di senatori inetti, benché più sobri di lui, Caligola stesso non può che asserire che tutti gli uomini sono colpevoli, ognuno a suo modo, e meritano di morire. Perfino gli dei non sono esenti da questa condanna, tant’è che la loro ironica evocazione si traduce in uno spettacolino da casinò. Una raffica di mitra pone fine ai suoi tormenti.

Il regista Pino Micol ci invita ad un esame di coscienza, proprio sullo sfondo della fine di un conflitto che vede il bene trionfare. Almeno, fino al prossimo imperatore.

CALIGOLA – A Parigi nel 1941, durante l’occupazione nazista

di Albert Camus

versione in lingua italiana di Riccardo Reim

con Manuele Morgese, Alessio Di Clemente, Maria Letizia Gorga, Franco Mirabella, Massimo Lello, Adriano Evangelisti, Gianluca Merolli, Armando Iovino

regia Pino Micol

Dal 1 al 23 ottobre 2011 – Teatro della Cometa, Roma

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