ACAB – All Cops Are Bastards

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Regia: Stefano Sollima

Soggetto: tratto dall’opera letteraria “Acab” di Carlo Bonini, edita da Giulio Einaudi Editore

Sceneggiatura: Daniele Ceserano, Barbara Petronio, Leonardo Valenti

Direttore della fotografia: Paolo Carnera

Scenografia: Paola Comencini

Costumi: Veronica Fragola

Montaggio: Patrizio Marone

Musiche: Mokadelic

Cast: Pierfrancesco Favino, Filippo Nigro, Marco Giallini, Andrea Sartoretti, Domenico Diele, Roberta Spagnuolo, Eugenio Mastrandrea, Eradis Josende Oberto

Produzione: Cattleya, in associazione con Fast Film, in collaborazione con Rai Cinema

Durata: 112 minuti

Sicuramente non si può rimanere indifferenti guardando ACAB –All Cops Are Bastards– perché, nel bene o nel male, qualcosa dentro lo spettatore si smuove. Che sia un sentimento di rara empatia o di nervosismo, il film tocca delle corde che danno fastidio. La visione del reparto mobile della polizia, i cosiddetti celerini, non è edulcorata; la pillola che si ingoia non è addolcita da nessun additivo: questo è il loro mestiere, questo è ciò che fanno. I nomi di battaglia, Cobra, Negro e Mazinga, oltre a riportarci alla mente i soprannomi dei criminali di De Cataldo – portati in tv dallo stesso regista di Acab, Stefano Sollima – ci fanno capire da subito che aria tira: la violenza è ovunque. Quello che fa questo film è raccontare l’odio che permea la nostra quotidianità, l’astio e la violenza a cui siamo ormai abituati e che quasi ci serve per giustificare quegli atti che noi stessi compiamo senza renderci conto della gravità che essi comportano.

Ha ragione Pierfrancesco Favino, nel film Cobra, l’anima del reparto celere del film: ciò che deve far discutere non è il contenuto morale del libro o della pellicola, ma un discorso di moralità propria che induce ognuno di noi a giudicare alcuni avvenimenti sconcertanti della nostra realtà. I protagonisti, durante la conferenza stampa a seguito della proiezione, dicono quello che tanti spettatori probabilmente penseranno una volta terminato il film: “Non ho cambiato la mia idea su questo reparto, ma ho più elementi per giudicare”.

Sì, perché la squadra mobile è un reparto difficile da vivere e sopportare, si trova al centro della violenza da ogni parte e senza distinzione: sfrattano alcune persone dalle case? Viene messo in atto ciò che il Comune impone, ma sembra che la colpa cada su di loro, e così le ire degli sfrattati. Tuttavia questo reparto resta quello che ha compiuto i gravissimi atti alla scuola Diaz di Genova durante il G8 del 2001, e questo Sollima lo racconta in un modo diverso: mostra a tutti come spesso questi poliziotti si creino una giustizia privata; entrano in atto dinamiche personali, rancori e sgarri subiti che vengono puniti con la violenza senza ragione né alcun criterio. La celere è un reparto simile a una famiglia, ci si sostiene a vicenda nel bene o nel male e soprattutto ci si copre in caso di errori.

Basato sulla fisicità, sul corpo come strumento d’azione, Acab è raccontato sul grande schermo come se si trattasse di una vera guerra: ci sono le armate dei tifosi allo stadio che aggrediscono senza criterio i celerini da una parte, e dall’altra ci sono loro, i poliziotti, che al pari della scriteriata violenza di alcuni tifosi, reagiscono.

Figura di spicco nel film è quella del giovane Adriano – Domenico Diele – che pur sembrando la testa calda del gruppo, crede nella giustizia quella vera, al punto da denunciare una retata non autorizzata fatta dai colleghi. Nel tentativo di spiegare a Cobra il perché di quella  segnalazione Adriano dice semplicemente di essere un poliziotto. Qui sta il cuore del film: nello stare attenti alle facili generalizzazioni e nel capire che tutte le cose vanno viste con occhio critico e senza perdere di vista i valori saldi della coscienza.

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