L’Accademia degli artefatti, con la regia di Fabrizio Arcuri, porta in scena Taking care of baby, il testo che ha consacrato Dennis Kelly come drammaturgo di fama mondiale.
Taking care of baby
di Dennis Kelly traduzione: Pieraldo Girotto regia: Fabrizio Arcuri con: Matteo Angius, Francesco Bonomo/Fabrizio Croci, Pieraldo Girotto, Francesca Mazza, Isabella Ragonese, Sandra Soncini in video: Vinicio Marchioni, Fiammetta Olivieri, Paolo Perinelli materiali sonori: Subsonica tratti da mentale/strumentale (inedito nel cassetto) luci: Diego Labonia video: Lorenzo Letizia scene: Gianni Murru costumi: Valeria Bernini produzione: Accademia degli Artefatti – Napoli Teatro Festival Italia – Teatro Stabile TorinoDal 7 al 19 maggio 2013 – Piccolo Eliseo, Roma
Una donna, Donna McAuliffe, viene accusata di aver ucciso i suoi due bambini. Taking care of baby, il testo di Dennis Kelly, parte da un fatto di cronaca che rimanda a una tragedia antica. Medea. Un mito doloroso, e spaventoso, radicato nella nostra cultura.
Ma l’incipit dà già la traccia contemporanea. Viene proiettata una frase: si parte da interviste e materiali raccolti relativi al fatto di cronaca. Una voce, prima fuori, poi dentro lo spettacolo, attraverso delle domande, tenterà di ricostruire una verità irraggiungibile. La preparazione di uno spettacolo teatrale si mescola, quindi, con un documentario televisivo acquisendo la forma ibrida di teatro-documentario.
Attorno a Donna, interpretata da Isabella Ragonese con una misura che poco appartiene ancora a tanto, troppo, teatro italiano, ruotano gli altri personaggi. Ognuno di loro è testimone del proprio frammento di vita e porta in scena la sua verità cercando di difendersi dalle altre. Attraverso il filtro mediatico, assistiamo sia alla campagna elettorale della madre di Donna, pronta a utilizzare proprio quella storia e quel filtro per raggiungere i propri scopi, che al disagio dolorosamente silenzioso, eppur sempre dichiarato, del marito.
Ma è possibile raccontare la verità? Il mezzo scelto per raccontarsi quanto e come modifica il fatto narrato?
Un teatro che oggi ha senso è quello che pone allo spettatore domande necessarie. Lo fa Fabrizio Arcuri, con quel rigore che puó avere solo qualcosa che serve. La questione a cosa credere non è piú solo ideologica ma politica.
Il teatro è, tra tutte le arti, quella in piú stretto rapporto con lo spettatore. Documentare, seppur nel tentativo di cogliere il reale, allontana il fatto, pone una distanza. Il pubblico si ritrova intrappolato nella rappresentazione: attraverso una telecamera la verità può essere inventata e la falsità raccontata fino a non vedere piú la differenza.
L’Accademia degli Artefatti, nella sua ricerca teatrale, dimostra di avere sempre presente che la forma è sostanza. Quando non è predefinita, chiaramente. Lo strumento piú comunicativo della nostra epoca, la televisione, si interpone come arma a doppio taglio, da una parte tentativo estremo di ricostruzione, dall’altro insabbiamento del reale. Lo spettacolo precipita in un agone dove ogni confine è incerto. Spetterà allo spettatore trovare una strada, potere – e dovere – scegliere a cosa credere.