Doppio appuntamento con le paure, al Centrale Preneste Teatro. E, se Matteo Fantoni ci fa intravedere la possibilità di un loro superamento, i CapoTrave le generano e ci lasciano immersi in esse.
Leoni, un meta-spettacolo di poco più di un quarto d’ora e tre canzoni, è, come spiega lo stesso Fantoni, un debutto, la presentazione di cinque anni di duro lavoro, in garage, non su una moto o su una macchina, ma su un qualcosa di ben più complesso: se stesso.
Cinque anni spesi ad affrontare le proprie paure e i propri limiti, creando una sorta di routine del rischio divisa in tre mini-atti (il rischio dell’esibirsi, il rischio acrobatico, il rischio del ricordo di fallimenti passati), accompagnati da altrettante canzoni.
Molto significativo e tematico è il modo in cui il protagonista si presenta al pubblico: salvo che per un paio di pantaloncini, l’attore Fantoni è praticamente nudo, così come a nudo sembra essersi messo il suo personaggio, Fortunato, proponendo pubblicamente la sua routine quotidiana, quella che gli permette, ogni giorno, di sentirsi vivo e non schiacciato da un’esistenza altrimenti opprimente.
Ma è chiaro che il processo di conquista di Fortunato su se stesso è -e chissà per quanto ancora lo sarà- in divenire. Il suo corpo sembra un tutt’uno con il casco da ciclista, le ginocchiere, le gomitiere, i guanti e le scarpe di gomma: protezioni sicuramente eccessive per quel che poi andrà a fare.
Leggerezza e ironia permeano questo quarto d’ora di azioni mute, in sé banali, ma che assumono tutto un altro sapore se osservate nel contesto creato dall’autore-regista-attore.
In Virus, invece, il tema della paura è affrontato sotto tutt’altra angolazione, in tutt’altro momento e con tutt’altri toni. Come si scopre man mano, seguendo il gracchiare di una vecchia radio appesa, una città non meglio definita (come indefiniti sono nomi, tempo, luoghi dell’azione scenica) è colpita da un’epidemia. Prima dalla radio e poi da una serie di scambi rigorosamente fisici (anche in questa piéce gli attori agiscono silenziosamente), emerge il cuore dell’opera: la paura del contagio e, ciononostante, la voglia e la fatica di resistere.
L’azione scenica è retta da due uomini, rinchiusi in cubicoli che sembrano essere delle fogne, intenti a raccogliere e contare i topi morti in cui si imbattono. La relazione tra i due è, invero, di non chiarissima comprensione, mentre più semplice è decifrarli se presi singolarmente: sono uomini soli, ai quali non resta che tentare un suicidio -ma con tanto di invito a intervenire per sventarlo- o la scrittura alla lavagna di lettere appena accennate, che non verranno mai spedite.
Alla forte invasività sonora di un tappeto audio, che va dal metropolitano al disturbato, passando per i notiziari radio, si contrappone l’uso minimalistico delle luci, quasi sempre diegetiche (torce elettriche, proiettori in scena, lavagne luminescenti), che contribuiscono a creare una serie quasi ininterrotta dell’equivalente teatrale di primi o primissimi piani. Lo spettatore è rinchiuso in un metro scarso di luce, insieme al protagonista di turno, alle sue paure, mentre pochi centimetri più in là tutto è o torna a essere buio, ignoto e, per questo, minaccioso e opprimente.
LEONI
Di e con Matteo Fantoni
Concetto luci e costume Matteo Fantoni
13 novembre 2011, ore 21.00 e ore 22.30
VIRUS
Compagnia CapoTrave
Regia Luca Ricci
Con Emilio Vacca e Pietro Naglieri
Ideazione, drammaturgia e scena Lucia Franchi e Luca Ricci
Realizzazione scena Luca Giovagnoli e Stefan Schweitzer
Oggetti plastici Katia Titolo
Ambiente sonoro Fabrizio Spera
Voce radio Marco Fumarola
13 novembre 2011 ore 21.30 – rassegna “Attraversamenti Multipli”- Centrale Preneste Teatro – Roma