Birdman, di A. G. Iñàrritu, USA 2014, 119′
Distribuito da 20Th Century Fox
Cinema Tibur, Roma 16 febbraio
Birdman, nuova fatica del regista Alejandro Gonzàlez Iñàrritu vince quattro premi Oscar, tra cui miglior film e migliore regia.
Birdman narra la storia di un attore, reso famoso dalla saga omonima di un supereroe che per dimostrare al mondo (ma soprattutto a se stesso) di essere anche un bravissimo attore e un artista, oltre ad essere una celebrità, mette in scena una commedia di Raymond Carver, riadattando il testo, assumendosi la regia e interpretandone il protagonista.
Il dramma di un uomo di sessant’anni che desidera con tutte le sue forze di cambiare il palcoscenico della sua vita umana e professionale, dell’attore che è o che era e che vuole diventare, di un padre-marito assente, di un attore tra gli attori suoi colleghi, permeato di egocentrismo e presunta insensibilità, è la storia del film.
Il dramma è in ogni cosa che è impossibile da realizzare, perché il passato, ciò che si è stati, segna la vita di una persona e sembrerebbe inesorabilmente condannarla alla stasi, alla permanenza dello status quo, alla quanto mai difficoltà del divenire altro da sé. Gli stratagemmi per narrare queste difficoltà sono molti. Episodi di sdoppiamento della personalità nella voce del supereroe che gli parla costantemente di ciò che hanno perso e non ritroveranno se non ripercorrendo la stessa strada di molti anni prima. Incidenti di ogni genere durante le prove e durante le anteprime che mettono a repentaglio la riuscita dello spettacolo. Infine la annunciata stroncatura del critico del New York Times per il solo fatto che colui che ha partecipato della cultura mainstream non può (e non deve) essere anche artista e non può permettersi di profanare i sacri palchi di Broadway. Gustosissime le due scene al bar in cui ci si confronta-scontra con il critico del suddetto giornale.
Ma le domande che pone il regista sono ancora (psicologicamente) più profonde.
Cosa è un attore? Un attore è colui che comprende la metà, il doppio o altro da quello che gli si dice, non sta mai nella realtà della situazione (il protagonista Michael Keaton). Al tempo stesso l’antagonista (Edward Norton) afferma che solo in scena riesce ad essere ciò che realmente è, solo sul palco regna la sincerità della sua persona. Le relazioni tra attori e degli attori sono una babele di emozioni represse o eccessivamente vissute o comicamente fragili o naufragate per narcisismo, vigliaccheria e tradimento. Non esistono parenti o amici degli attori, la loro personalità, sempre rivolta verso se stessa, non lascia spazio a nient’altro che alla realizzazione della carriera. Ma queste sono solo etichette. La vera verità sta nella ipersensibilità di questa persona, l’attore. Ipersensibilità che è pronta ad ucciderti se non ti difendi, perché non esiste altro dall’essere attore per un attore. Nella forza dei sogni che porta con sé e che cerca di realizzare (e quanto è folle realizzare i propri sogni in un mondo normale?). Nel coraggio di giocarsi il tutto per tutto nella consapevolezza mistica di sentir fare la cosa giusta e che non ci sono alternative, essere o non essere. Nel mettere a repentaglio la propria vita non per un applauso, non per diventare famosi, non per soddisfare l’ego men che meno per la diffusa, superficiale, credenza della soddisfazione del proprio ego, che è normale avere altrimenti non si può essere artisti, ma rischiare il tutto per tutto per amore. L’amore della propria mistica vocazione di strumento del sacro, di medium tra creazione e diffusione di saperi, di giullare di Dio. Dioniso o Spirito o Divino che sia.
Grazie Alejandro per questa splendida, comica, grottesca, patetica e onirica apologia dell’attore-persona.