Domenica 28 Ottobre 2012, al MedFilm Festival, svoltosi presso la Casa del Cinema, è stato proiettato un documentario in lingua slovena che informa, commuove e fa riflettere. I parallelismi tra passato e presente, come spesso accade, sono più forti che mai.
Aleksandrinke, di M. Pevec, 94′, Slo/Ita/Egi 2011
Sceneggiatura: Metod Pevec
Fotografia: Mišo Cadež
Montaggio: Janez Bricelj
Formato: Hd Cam
Suono: Marjan Drobni
Lingua: Sloveno, inglese
Formato: Hd Cam
Interpreti: Marjuta Slamič, Primož Pirant
Il documentario Aleksandrinke ci presenta quella generazione di donne slovene che emigrarono in Egitto, nel periodo compreso tra l’apertura del Canale di Suez – 1869 – e la Seconda Guerra Mondiale – 1939/1945 -, e divennero note come le Alessandrine: spose e madri che abbandonavano la famiglia verso un paese che in quegli anni viveva un periodo di grande prosperità. Mentre sullo schermo scorrono vecchie fotografie alternate a scenari esotici, in Aleksandrinke si intrecciano storie diverse con un denominatore comune: la fuga dalla povertà. A colpire è la nota positiva con cui si contestualizza la migrazione: le Alessandrine non erano straniere da evitare, ma delle risorse di cui avvalersi. La maggior parte di loro trovava lavoro come dama di compagnia o come nunny: una sorta di balia che, secondo i racconti di quegli egiziani ormai vecchi che ancora ne tengono la foto sul comodino, rimpiazzava addirittura l’affetto verso la mamma naturale. Una vera e propria fusione che univa due paesi diversi e distanti. Le Alessandrine guadagnavano bene, s’integravano facilmente e così non tornavano a casa per moltissimi anni.
Ma come vivevano questa distanza i familiari rimasti in Slovenia? Il loro punto di vista emerge forte come un pugno. Oggi sono anziani e da piccoli hanno visto partire inermi le loro madri senza più incontrarle per decenni. Una signora di quasi ottant’anni piange ancora raccontando la speranza quotidiana di vedere sua madre voltare l’angolo di casa e dirle che non sarebbe più tornata in Egitto. Si asciuga gli occhi un uomo con i capelli bianchi; sembra che stia parlando di cose accadute pochi giorni prima. C’è veemenza in lui mentre si domanda come poteva sua madre preferirgli un bambino egiziano “sconosciuto”. Siamo in Slovenia, in quella realtà abbandonata dietro il sogno di una vita più agiata. Due fratelli parlano a fatica di una mamma che quando tornò a casa per le vacanze portò con sé la piccola africana di cui si occupava. Ed è così che il fascino del ricco Egitto viene del tutto travolto dagli equilibri emotivi e scombinati di quegli anziani con gli occhi tristi. Davanti a storie simili non possiamo che domandarci cosa sia più importante tra la vicinanza ed il benessere. E se la risposta appare inizialmente scontata, in realtà essa è impregnata di storie individuali che non si possono catalogare a priori.
Quante situazioni simili vediamo oggi nel nostro paese? Donne e uomini lasciano i propri affetti e nessuno si chiede mai quant’è grande il vuoto per quei cari rimasti in patria. Si sente spesso dire che un figlio non vada mai abbandonato; è biasimabile una madre che, invece, preferisce andarsene pur di dargli da mangiare? Tante domande, solo risposte opinabili. Alla fine della proiezione sembra naturale guardarsi intorno per scorgere quelle scene di quotidiano affetto tra madri e figli che si danno per scontate, o rasserenarsi alla sola idea di tornare a casa trovando la propria famiglia al completo senza l’idea che nessun membro sia lontano; e allora la scelta tra benessere materiale ed affetto quotidiano appare, d’improvviso, soltanto apparentemente, molto più semplice da prendere.