Alessandra Fallucchi| Italia ’15-’18 – storie comuni del tempo di guerra

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ITALIA 15_18
un progetto a cura di Alessandra Fallucchi
con Ilaria Baiocco, Ilaria Canalini, Alessandro Cecchini, Barbara Ciacci, Ludovica Di Donato, Marco Foscari, Francesco Mantuano, Sonia Merchiorri, Sara Meoni, Marco Usai
scene e costumi Maria Alessandra Giuri
luci Paolo Macioci
musiche dal vivo e arrangiamenti Marco Foscari
assistenti alla regia Sonia Merchiorri e Francesco Mantuano
vocal coach Agnese Fallongo
organizzazione Rossella Campatangelo
produzione Il Carro dell’Orsa

 

10 dicembre 2014, Teatro Due

In occasione del centenario della Grande Guerra, il Teatro Due ha ospitato per due settimane di repliche lo spettacolo Italia ’15-’18 – storie comuni del tempo di guerra, un progetto di teatro canzone a cura di Alessandra Fallucchiper il Carro dell’Orsa.

Lo spettacolo nasce da una lunga e profonda ricerca storiografica, che riporta sulla scena storie intime e sconosciute diuomini e donne che fecero la Grande Guerra. Storie che diventano testimonianza universale del dolore che il conflitto portò a giovani esistenze. Storie che sono le nostre, che scorrono nel sangue e ci riportano alla memoria la ferocia dell’essere umano, la fragilità della sua condizione, la forza che nasce quando la speranza è vana.

La Grande Guerra è per la storia contemporanea la risultante di un continuo periodo di tensioni fra nazioni e ideologie, ma per gli uomini e le donne che la vissero rappresentò un punto di rottura con tutto quello che aveva caratterizzato il loro passato. L’uomo, al fronte, come carne da macello che si piega alla volontà di uno stato che non conosce, coi morsi della fame, la disperazione e la paura; la donna, rimasta in casa, che prende in mano le redini e che si ritrova a combattere una guerra silenziosa, al quale fa fronte con coraggio e una resistenza senza pari, sia fisica che emotiva.

Nello spettacolo queste due realtà lontane si fanno forza vicendevolmente, cercano la compagnia l’uno dell’altra attraverso lo scambio di lettere che riportano pensieri e richieste quotidiane, ma che, fra le righe, sottintendono paure e raccontano incubi; parole che ci fanno sentire il timore della separazione e della morte, della rassegnazione a qualcosa di più grande e che non si può controllare. Pezzi di carta che sono l’unico ricordo, l’unica certezza che quella vita ci sia ancora, o l’unico pezzo che resta di quella vita.

Queste donne e questi uomini ci sono raccontati dalla cornice di un cantastorie, Marco Foscari, che con un attento lavoro filologico ha arrangiato musiche dell’epoca e che, con la sua chitarra, ci ha accompagnato alla scoperta di questi mondi dove i canti rasserenavano.

Sullo sfondo del palco ci viene presentata costantemente la guerra.Tre soldati sono in scena dietro un velatino a rappresentare il pensiero di fondo del conflitto; gli uomini al fronte, che aspettano, che contano i bombardamenti, che si confidano e si lamentano delle condizioni di vita, o meglio, di sopravvivenza in trincea. Una realtà a cui fu rubata l’innocenza troppo presto. Davanti all’immagine della trincea, cullate dalla melodia del cantastorie, prendono vita figure di donne: prostitute, crocerossine, spose e madri che cantano per noi, cantano per i loro soldati e uomini, cantano per farsi forza e si raccontano. Il loro agire le ha rese parte attiva nello Stato: rimaste sole si sono occupate della famiglia, del lavoro, hanno messo a tacere i sentimenti di disperazione e di abbandono e, rimboccandosi le maniche,si sono create una posizione sociale diversa dal passato. Sono solo loro, del resto, le uniche a poter godere della possibilità di scelta;il mondo della trincea ha delle regole diverse, la scelta individuale non è contemplata e si è in balia di qualcosa di superiore. Le donne, quindi, devono, prendere la decisione di sollevare il paese al posto dei loro uomini,, anche se non lo hanno scelto.

Lo spettacolo scorre piacevole fra episodi femminili di vita, monologhi, fra riflessioni di soldati e commenti del cantastorie, che tingono la scena di un’atmosfera a tratti edulcorata e disperata, a tratti lamentosa e ironica. Si esce da teatro con in testa ricordi che tendiamo a dimenticare e che sembrano troppo lontani. Ricordi che sarebbe giusto custodire come una canzone da cantare ogni giorno e che non rimangano sbiaditi cimeli di un passato a cui non sentiamo di appartenere.

 

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Autore

Ludovica Avetrani

attrice, danzatrice, curiosa. caporedattrice delle sezioni di teatro e danza. odia le maiuscole.

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