«Vorrei poter scrivere un libro che fosse solo un incipit, che mantenesse per tutta la sua durata la potenzialità dell’inizio, l’attesa ancora senza oggetto.» Rossana Avanzi analizza Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino, nel suo Alla ricerca del testo perduto.
Titolo: Alla ricerca del testo perduto. Il libro, la lettura e la scrittura in Italo Calvino: Se una notte d’inverno un viaggiatore
Autore: Rossana Avanzi
Editore: Mimesis
Anno: 2012
Non è facile recensire un libro del genere.
Più che un saggio, infatti, quello della Avanzi si potrebbe definire un vero e proprio romanzo, anche se non presenta le variabili e le costanti dello stesso. Certo, è un saggio, perché se la matematica non è un opinione a volte non lo è anche la letteratura. La scrittrice ha la capacità di farlo diventare affascinante quanto un romanzo. Ci si entra dentro e si diventa parte integrante dello scritto. D’altronde non era questo che Italo Calvino cercava di trasmettere nei suoi libri? Alla ricerca del testo perduto analizza il punto di partenza e di arrivo, nonché il percorso affrontato, di Se una notte d’inverno un viaggiatore e ci svela senz’altro lo spirito eccentrico e geniale di Calvino.
Il paradigma dell’inesauribilità del racconto è ciò che affascina di più lo scrittore. La possibilità infinita di raccontare novelle per non arrivare ad una fine. Come ne Le mille e una notte: «l’inizio è il luogo letterario per eccellenza perché il mondo di fuori per definizione è continuo, non ha limiti visibili». E l’inizio diventa la parte più importante. È lì che il lettore entra nel racconto, è lì che lo scrittore deve catturare l’attenzione e creare curiosità. Per fare questo Calvino fa leva su una successione di racconti in cui l’interruzione è intenzionalmente finalizzata a strutturare il romanzo e a mettere continuamente in moto il desiderio di leggere altre storie. L’autore parla di un piacere preliminare che deve avere la sua giusta durata per mantenere la tensione attiva.
C’è una rete sotto il romanzo di Calvino. Rete di molti elementi connessi e intrecciati tra loro, rete che è anche una trappola. Rete che fa capire, e poi lo scrittore lo confermerà, che c’è un progetto di stesura ben chiaro dietro al libro.
Ogni singola parola viene scelta con cura, ogni nome di ogni personaggio deve suscitare sensazioni legate allo stesso. Onomatopeico è la parola esatta. Nulla viene lasciato al caso. Il tutto viene fatto a favore del romanzo e della sua vita eterna. Se l’autore infatti muore, il romanzo resta. E questa certificazione di vita gli viene data anche e soprattutto dal lettore, il vero protagonista del romanzo. Del resto, come scrive Barthes: «il prezzo della nascita del lettore non può che essere la morte dell’autore».
I libri per Calvino sono metafora della vita, perché «ogni esperienza di vita per essere interpretata chiama alcune letture e si fonde con esse». E da quanto si intuisce nel saggio della Avanzi, per l’autore la scrittura diventa anche una sorta di rifugio, una sorta di volontà di limitare pericoli e perdite di equilibrio, ma soprattutto: «La scrittura sarà sempre un tentativo di raggiungere l’infinita molteplicità dell’esperienza, e non ci arriverà mai. E’ un po’ come quando si cerca di mettere sulla carta un sogno, e ci si accorge che per un sogno di pochi secondi bisogna imbrattare pagine e pagine».
Intanto con questo bel saggio iniziamo ad esercitarci nella lettura, anch’essa definita un bel sogno.