Cristina Rizzo > Paso Doble Fabrizio FavaleLe Supplici > Hood Annika Pannitto > Solo per Tropici Daniele Albanese_Compagnia STALKer >In a landscape Yuri Elena >Supposizioni Italo Zuffi > L’ultimo ruggito Jacopo Jenna >Choreographing rappers Federica Santoro > Ornitologia Mk > Lagos, Nigeria SilviaCalderoni > Ornitologia Pawel und Pavel Margherita Morgantin Italo Zuffi > Uscita n.4 Elio Castellana Lola Kola > Lola Carte Blanche Salvatore Insana > White Riot7 Febbraio 2015, Angelo Mai Altrove Occupato, Roma
La rassegna Angelo Mai Italia Tropici giunge alla terza edizione, e c’è da ritenersi molto fortunati ad avervi assistito. Nel paese dell’evasione fiscale e del degrado culturale e politico, il Marzo scorso l’Angelo Mai viene infatti coinvolto in una travagliata e ingiusta azione giudiziaria pur rappresentando uno dei luoghi alternativi storici della capitale nel quale si dà voce e spazio alle realtà di sperimentazione e ricerca nel campo artistico, soprattutto giovanile. Alcune zone della struttura sono ancora sotto sequestro ed è da sottolineare l’encomiabile l’impegno degli artisti e degli organizzatori nel tenere in piedi questa realtà.
Direttore artistico dell’evento è Michele di Stefano – coreografo e performer leone d’Argento per la danza contemporanea alla Biennale di Venezia e fondatore della compagnia di danza di ricerca MK, il quale a proposito degli intenti artistici parla di: “danza come condizione permanente di questa instabilità che in Tropici continua a rischiare sull’umano” evocando “una strana sintonia di corpi solitari che si presentano e ripresentano nello stesso spazio“, in una “cascata tropicale” di corpi spettatoriali e performanti.
Se prevale la tensione verso il disequilibrio come parabola esistenziale collettiva in un periodo storico dominato dall’incertezza, altrettanto rilevante è la volontà di riunire assieme artisti e gruppi indipendenti provenienti dalle realtà più disparate della scena sperimentale e di ricerca. Un arcipelago urbano e marginale (in questo risiede il suo pregio principale e la sua neanche troppo velata natura “anti”) al centro del quale si staglia la figura cult della perfomerSilvia Calderoni (dai Motus ai Valdoca, dalla Leggenda di Kaspar Hauser al Martirio di San Sebastiano) che con Ornitologia suggella l’affastellamento di performance innalzando un vessillo ottenuto con l’assemblaggio di pezzi di cartone di banane Chiquita.
Un corpo altrettanto solitario è presente in Choreographing rappers di e con Jacopo Jenna, dove il performer concettualizza l’essere rapper attraverso una partitura coreografica fluida ma anti-mimetica, dialogante con versi di brani rap didascalicamente proiettati nero su bianco su di uno schermo; contrasto cromatico spezzato dal gioco di luci blu e rosse, che scolpiscono visivamente lo spazio scenico e il corpo di Jenna il quale performa su una partitura sonora stratificata ed elaborata costituita dal missaggio di molteplici brani di vari rappers.
Monade anarcoide anche Daniele Albanese (compagnia Stalker) il quale nel solo In a landscape si muove in un paesaggio urbano astratto nel nero del fondale e dei suoi occhiali scuri, utili a celare lo sguardo del performer la cui figura si mimetizza nello spazio scenico. La scrittura coreografica su base elettro-noise alterna esplorazione territoriale dello spazio a movimenti controllati di energia implosa che si liberano in spinte centrifughe lungo assi cartesiani invisibili. La presenza del perfomer è a suo tempo un’assenza, un porsi frontalmente allo spettatore che dura pochi attimi, cancellati nell’atto di essere scritti con un’ulteriore spazializzazione della figura scenica, dispersa e deterritorializzata.
Corpo readymade quello della barocca Lola Kola in Lola carte blanche di Elio Castellana, dove il gesto diviene enunciativo all’interno di una situazione paradossale e meta-teatrale, anti-rappresentativa e dissacrante. “Questo è un teatro?” domanda la statuaria Lola istoriata da tatuaggi, tra un litigio con l’occhio di bue e un’altro con il tecnico del suono, tra cacofonie e svenimenti pseudo-uterini . Un’azione scenica all’insegna dell’épater le bourgeois attraverso una performance che “va avanti da una vita” che coinvolge tramite il fascino emanante dall’ambiguità sessuale del personaggio/persona esibitosi.
Sulla struttura invece si sofferma Annika Pannito in Solo per Tropici; la performer percorre geometricamente lo spazio scenico seguendo traiettorie orientate orizzontalmente e diagonalmente, in un meccanismo di ripetizione e sagomatura figurale forse ultimo avamposto di una precarietà e fragilità esistenziale.
Si affiancano ai solo il video White riot di Salvatore Insana – una riflessione sul 1977 ispirata a Eraserhead di David Lynch e al movimento punk , le incursioni di MK con il dirompente Lagos, Nigeria – quattro performers si alternano esibendosi frontalmente (come in un contest urbano) in movimenti hip-hop e afro-, nonchè la danza del duo composto da Daniele Bianco e Vincenzo Cappuccio coreografati da Fabrizio Favale e animanti un’intimistica partitura configurantesi come l’espressione di uno stato d’animo di inadeguatezza; infine non manca una riflessione meta-rappresentativa di Yuri Elena che si pone come una peculiare conferenza interna alla rassegna dove lo studioso riflette su temi antropologici, linguistici ed estetici.
Parallelamente, la personalità femminile più importante della danza di ricerca italiana, Cristina Rizzo, performa nello spazio attiguo alla sala principale in Paso Doble, un progetto elaborato assieme a Kinkaleri nel 2004, presentato al Festival di Santarcangelo e al RAUM di Bologna, fra i tanti. Nella performance che dura circa tre ore, la Rizzo, ripresa da una videocamera, inizialmente improvvisa su un sottofondo musicale scelto a caso dalle frequenze di una radio portatile, in una seconda fase collega una videocamera a un monitor e ricostruisce la frase di movimento, duettando con la propria immagine registrata. In questo loop evenemenziale ritroviamo l’essenza del contemporaneo attraverso il solipsismo della performer che si relaziona con la propria immagine in un tempo dilatato dove il corpo manifesta la propria presenza attraverso il processo artistico, diametralmente opposto al concetto di “prodotto”; non forma chiusa ma itinerario spazio- temporale aperto e reticolare, come un tracciato urbano nel quale la propria identità si perde e si riperde all’infinito, in un gioco di rifrazioni e interferenze.
Laddove le istanze concettuali appaiono più precise e dotate di un impianto drammaturgico ben definito, come nel caso di Jenna e Albanese, l’operazione di esternalizzare una poetica è riuscita; alcuni lavori appaiono acerbi, eppure disseminati nel flusso performativo contribuiscono alla riuscita generale dell’evento, il cui merito principale risiede nell’intenzionalità espositiva e conglomerante delle eterogenee personalità fotografabili nella loro fuga dalla terraferma, dislocate in un arcipelago dove ognuna di esse risponde solo alle proprie regole, in una marea periferica e anarchica.