La Mondo Bizzarro Gallery ospita fino al 4 giugno la personale Iron-y di Ania Tomicka, che invita lo spettatore ad abbandonarsi a una purezza originaria, all’incanto fiabesco del suo mondo. Una pittura, che nella delicatezza dagli echi barocchi, non ha paura di svelare, con grottesca maestria, ironiche riflessioni sul reale.
Artista: Ania Tomicka
Titolo: Iron-y
a cura di Erica Calardo
Luogo: Mondo Bizzarro Gallery, Via Sicilia 251
fino al 4 giugno 2013
In foto: Ania Tomicka, Squittology, Olio e foglia oro su tela (2013), 40×30 cm
Occhi enormi screziati di rosso vermiglio, morbidi capelli che cadono lungo le spalle incorniciando visi femminili giganteschi – troppo faticosi per il corpo fragile che li sostiene – ma delicati allo stesso tempo, interrogativi e mai tristi, malinconici e speranzosi, fumettistici e mai banali. Evocativi e onirici sono i volti di Ania Tomicka, nati dall’armoniosa lotta dei suoi oli con le forze primitive dell’interiorità dell’essere umano, immobilizzate artisticamente nelle opere ospitate dalla Mondo Bizzarro Gallery in occasione della sua personale Iron-y.
Le protagoniste incarnano un messaggio di feroce innocenza: la prepotenza plasmatrice dell’ironia consapevole di Ania crea personaggi da fiaba che, svelando l’artificiosità del reale, ci accompagnano per mano in questo disincanto.
Lo spettatore, attraverso lo stile pop surrealista della pittrice e il suo uso di colori pieni, carichi di tonalità espressive forti, mai fosche, angoscianti, è obbligato a riflettere. Così in Enough Big Eyes si incontra la desacralizzazione dell’elemento religioso e l’idillio di una fede nuova: quella dell’Arte. Alle Madonne con Bambino, tipicamente rinascimentali, Ania sostituisce un’infante fanciulla, stretta nell’abbraccio materno della Musa dell’arte che tiene in mano tavolozza e pennelli. La bambina ha un solo occhio, di un azzurro vivido, come il mantello della Musa che forse sta finendo di dipingerla. E se l’artista si rifugia nel mondo interiore dei suoi personaggi, a volte l’identificazione con gli stessi e l’ironia che racconta attraverso le sue opere raggiungono stati sublimi: in The hard life of a Pop-Surreal Girl la fanciulla dai capelli rossi, proprio come Ania, ha lo sguardo trasognato e, sotto il peso dell’arte che fatica a sostenere – tanto che un folletto deve sorreggerle il viso con pali di ferro – sembra voler anelare a una leggerezza puerile.
Ma l’artista sfida anche l’arte contemporanea e i suoi referenti celebri, riducendo la genialità artistica di Dalì ad una sorta di grillo parlante dal baffo all’insù, poggiato a una figura femminea fascinosamente esoterica, Gala, la sua bellissima donna; scava nell’elemento primigenio della natura, mettendo un’aureola ad un scoiattolo mostruoso di fronte all’imprudenza beffarda di una bambina dalle calze a righe rosse, che, seduta con le gambe incrociate, semplicemente lo fissa (Squittology); e restituisce la quotidianità, dipingendo con nuances pastello una donna – forse la stessa Vergine desacralizzata – che si è appena scottata, tenendo in mano un biscotto (Cookie Mary).
L’arte di Ania ci urla silenziosamente di meravigliarci, di distruggere l’artificio che la vita impone, di stupirci di fronte alla bellezza, immergendoci in essa. Con la sua Iron-ia, indistruttibile come l’acciaio, l’artista scardina i canoni estetici, provoca il pirandelliano “avvertimento del contrario”, concedendo, senza mai affaticare l’occhio che guarda le sue opere, di abbandonarci delicatamente alla sua fiaba.
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