ANNA CALVI e il suo ULTIMO ALBUM
Album: Anna Calvi
Genere: noir/pop/rock/indie
Collaborazioni: Brian Eno
Etichetta: Domino Records
Anno di pubblicazione: 2011
Ha lo sguardo feroce mentre imbraccia la sua Telecaster come fosse un Winchester 44. E fa la voce grossa se qualcuno le fa notare che il selvaggio west non è un posto per fanciulle.
Il suo primo lavoro selftitled, uscito nel 2011 per la Domino Records, ha liberato la sua potenza vocale e le sue doti chitarristiche che hanno impressionato veterani come Brian Eno e Nick Cave.
Per nulla intimorita dalle attenzioni di questi seniors o da ingombranti paragoni e pesanti eredità musicali che la critica mondiale ha bisogno di sottolineare per confermare la propria raison d’être altrimenti dubbia, l’inglesina Anna Calvi (di origini italiane) si fa largo nell’ambiente fallocentrico e virile senza rinunciare a sensualità e malizia che emergono maleducatamente dal suo particolarissimo tocco sulle sei corde. Soltanto dita abituate a scorrere sul nylon dei collant possono colorare di un rosso così acceso gli arpeggi progressivi di 5a diminuita; l’attitudine di femme fatale emerge soprattutto in No More Words e in First We Kiss durante i quali ci abbandoniamo tra le spire del serpente a sonagli e veniamo iniziati alla pratica del cannibalismo sessuale.
Sulla scia del successo e della libertà espressiva conquistata da sweet bad girls strumentiste come Kaki King o Lisa Germano, la Calvi può fare di testa sua e arredare la spazialità legno-ferrosa della sua musica con suggestioni western grazie ad arrangiamenti che di tanto in tanto ci ricordano leggendari duelli di mezzogiorno (l’intro strumentale Rider To The Sea) e stivali che odorano di sabbia e whiskey. L’universo rappresentativo di Sergio Leone – forza sotterranea, ma, a mio parere, di vitale importanza per tutto il disco – si fa sentire anche nelle evoluzioni vocaliche sostenute da galoppate di timpani e chitarre (in alcuni punti della più easylistening Blackout) e nelle dissonanze tremule e desertiche dell’assolo in Love Won’t Be Leaving: canzoni per cercatori d’oro.
C’è spazio anche per intime e sincere confessioni che aprono una insospettabile religiosità: The Devil sembra lo struggente negativo della interpretazione di Hallelujah offerta da Jeff Buckley, accostamento ovvio anche per via dell’inconfondibile risonanza della Telecaster; Morning Light è una benedizione del giorno che nasce, di cui avvertiamo il primo tepore grazie ai saggi polmoni dell’harmonium. Nonostante l’animo gentile è però certamente lei a portare i pantaloni in casa, come dimostra una delle canzoni che preferisco nell’album: I’ll Be Your Man.
Insomma, cresciuta a tea e spaghetti western… e chi non ama le donne armate?
Disarmante.