di Li Meini
traduzione Fabrizio Massini (basato sul dramma Faust: prima parte di J. W. Goethe)
regia Anna Peschke
consulente artistico Xu Mengke
musiche originali Luigi Ceccarelli, Alessandro Cipriani, Chen Xiaoman
scene Anna Peschke
luci Tommaso Checcucci
costumi Akuan
materiali scenici Li Jiyong
trucco e acconciature Ai Shuyun, Li Meng
coreografie Zhou Liya, Han Zhen
con Liu Dake, Xu Mengke, Zhao Huihui, Zhang Jiachun
musicisti Vincenzo Core, Wang Jihui, Li Lijing, Niu Lulu, Laura Mancini, Giacomo Piermatti, Wang Xi
produzione ERT/ China National Peking Opera Company
11 Marzo 2017, Teatro Argentina, Roma
La tradizionale figura del Faust – protagonista di un racconto popolare tedesco – diviene una delle più importanti della letteratura europea e mondiale grazie al celebre dramma di Goethe.
L’ Opera di Pechino, guidata dall’attenta regia di Anna Peschke, si propone di dare espressione all’indagine sull’anima umana, perpetuata nel testo del filosofo tedesco, attraverso il Jingiù – antichissima forma di teatro cinese – che approda a Roma al Teatro Argentina.
L’incontro tra la cultura teatrale tedesca e le performing arts orientali consente un’esplorazione artistica completamente nuova, che può vantare l’interazione di diversi linguaggi scenici in grado di arricchire, come mai prima, un dramma profondo e complesso. Nel Faust della Peschke, infatti, non solo vengono combinati canto e recitazione, come avviene nell’opera occidentale, ma si miscelano anche danza, acrobatica e arti marziali. La forza del Jingiù, del resto, risiede proprio nelle sofisticate performance fisiche: gli attori sono capaci di esprimere emozioni, situazioni o ambientazioni attraverso i gesti, la danza, il mimo. Ne deriva una messinscena molto scarna da un punto di vista scenografico: fondale e quinte nere sono a vista, mentre il palcoscenico è ricoperto quasi interamente da un sottile tappeto verde. Ciò permette di focalizzarsi più attentamente sui costumi – di Akuan – che sulle scene: i colori sono sgargianti; i tessuti sinuosi e adatti a grandi movimenti; i dettagli curatissimi, in perfetto stile orientale. A tal proposito notiamo come Mefistofele – Xu Mengke – ci appaia in apertura di spettacolo, nelle sue vere sembianze di demonio, con due lunghissime corna da “scarafaggio” che seguono perfettamente i movimenti della sua danza di presentazione, anziché con zamponi caprini e forcone alla mano, come viene comunemente raffigurato nella visione occidentale. Il costume è grigio, ampio e con una stola che dalle braccia arriva fin quasi al pavimento, internamente decorata come una terribile fiamma infernale. Faust – Liu Dake – ci si presenta invece in un largo kimono, bianco, come la sua lunghissima barba. Faust ha trascorso la vita ricercando la massima conoscenza possibile, ma, giunto ormai alla vecchiaia, si rende conto che un solo uomo non è in grado di possedere tutto il sapere esistente e decide di avvelenarsi per porre fine alla frustrazione di non aver vissuto intensamente come avrebbe dovuto. E’ proprio allora che appare Mefistofele con un patto che il nostro bianco saggio non riesce a rifiutare: la sua anima in cambio di una nuova giovinezza da dedicare, questa volta, ai piaceri della vita. Faust vuole subito testare la sua nuova fisionomia con una giovane, bellissima donna, Margherita – Zhang Jiachun -, che però non sembra apprezzare le sue attenzioni. Ancora una volta, dunque, assistiamo al malvagio operare di Mefistofele, il quale, servendosi di una collana incantata, fa sì che la ragazza non solo si innamori perdutamente di Faust, ma che somministri persino un sonnifero alla madre che si rivelerà letale. Fine analoga toccherà anche al fratello di Margherita, Valentino – Zhao Huihui -, che coglie la sorella in un momento di intimità con Faust e, sebbene più forte di quest’ultimo, cadrà per mano sua, sotto i potenti influssi di Mefistofele.
La tragedia incalza e viene scandita da musica assillante e pentatonica, suonata dal vivo da sette impeccabili musicisti – Vincenzo Core, Wang Jihui, Li Lijing, Niu Lulu, Laura Mancini, Giacomo Piermatti, Wang Xi – celati da una quinta per l’intero spettacolo.
Altro elemento di forza della pièce è la simbologia del colore. Margherita dapprima ci appare in una veste rosa, arricchita, sulle maniche, da due lunghi lembi di tessuto bianco, che diventano rossi nel momento in cui ritorna sulla scena, a seguito delle morti di cui si è macchiata. Il rosso, in particolare, è anche il colore del ventaglio di Mefistofele, unico suo oggetto scenico, oltreché delle sedie che costituiranno nella parte finale la prigione in cui viene rinchiusa Margherita. Ella ha infatti partorito un figlio dopo l’incontro con Faust che, in un delirio di follia, affogherà, divenendo così colpevole di figlicidio. L’intero vestito di Margherita adesso è rosso, con in testa un ingombrante copricapo nero come il suo lutto; del bianco puro dell’abito iniziale rimangono solo i lembi delle maniche. Anche Faust ci appare nero vestito, tant’è che viene scambiato inizialmente per il boia che giustizierà la giovane assassina. E seppur non spetti realmente a lui l’ingrato compito, agli occhi di tutto il pubblico Faust appare ora come un boia, totalmente colpevole del dolore che ha generato il suo agire.
Possibile redimersi?
La regia della Peschke pone il focus proprio su questo semplice, desueto, principio di umanità.