A tutti, almeno una volta, sarà capitato di trovare in qualche mercatino dell’usato delle vecchie foto, ovvero dei ricordi smarriti, non più reclamati da alcun proprietario e di cui non si conosce né il nome del fotografo, né la storia, né le vicende dei soggetti raffigurati. Un misto di curiosità e nostalgia per un tempo che non è mai stato nostro, ma che in un certo qual modo sentiamo vicino, ci spinge in egual misura ad osservare le fotografie esposte nella mostra Anonymous al Teatro Ambra alla Garbatella, presso lo spazio AmbrArte. Trovate casualmente in una soffitta e in un mercatino dell’usato romano, le uniche informazioni che abbiamo su queste immagini sono che furono prodotte tra gli anni Trenta e i primi anni Quaranta del Novecento e che i due fotografi – anonimi per l’appunto, e sconosciuti l’uno all’altro – erano medici per professione. Oltre a raccontare scene spensierate, familiari, amichevoli e attimi colti silenziosamente, gli scatti portano davanti agli occhi dell’osservatore anche la realtà delle colonie italiane in Africa Orientale, dagli ospedali da campo, alle esplorazioni, agli addestramenti dei nuovi Balilla etiopi, ai ritratti e paesaggi.
Due medici, due fotografi amatoriali che, come si legge nel comunicato della mostra, possono essere ben definiti dalle parole scritte su una delle buste per negativi trovata: “dilettanti moderni”. Le foto in bianco e nero, disposte linearmente in fila, ad altezza occhio, lungo un’unica parete, scorrono davanti come una narrazione di attimi di vita, di persone che sono state, consapevolmente e inconsapevolmente, soggetto di uno scatto volto a raccontare la realtà privata e a documentare quella storica meno nota, a fissare nel tempo il ricordo, sia esso intimo e familiare sia militare e scientifico. Qui la fotografia diviene medium narrativo per costruire memoria e, dunque, ricordi il più possibile indelebili che, seppur legati a un passato non più presente, sono ancora oggi capaci di rivivere attraverso gli sguardi di chi osserva queste fotografie e le sedimenta nella propria memoria. Rispolverando ciò che forse da tempo era andato perduto, a quei “dilettanti moderni” è stata data la possibilità di creare paralleli spazio-temporali che hanno superato i singoli soggetti raffigurati per radicarsi in una storia collettiva di cui tutti facciamo parte.