Criticare lucidamente alcuni dei cliché della nostra esistenza in questa società senza mai far smettere di ridere: questa è l’impresa che riesce ad Antonio Rezza in Fotofinish. Lo spettacolo è andato in scena dall’11 al 15 dicembre al Teatro Vascello nell’ambito dell’Antologia, ciclo di riproposizione delle ultime quattro opere di Rezza e Mastrella.
Fotofinish
di Antonio Rezza e Flavia Mastrella con Antonio Rezza con Ivan Bellavista e con Giorgio Gerardi spettacoli (mai) scritti da Antonio Rezza habitat di Flavia Mastrella assistente alla creazione: Massimo Camilli disegno luci: Mattia Vigo – Maria Pastore organizzazione generale: Stefania Saltarelli11-15 Dicembre 2013, Teatro Vascello
Fotofinish, così come le altre rappresentazioni di Rezza e Mastrella, non è uno spettacolo come gli altri. Al posto della trama, una serie di situazioni (tragi)comiche che scaturiscono l’una dall’altra. Al posto dei personaggi, dei caratteri più o meno caricaturali portati alla vita dallo stesso Antonio Rezza. La carica e la presenza scenica sono tutte sue, che sul palco si dà completamente in una sorta di show senza fine – leggo così anche la costante dell’apparire nudo in scena –.
Lo spettacolo, che debuttò nel 2003, inizia con una scenetta ambientata nello studio di un fotografo. A volersi far fotografare è un gretto politico che vuole delle foto del suo dito per dimostrare che è proprio il suo il dito con il quale fa i comizi! Siamo quindi catapultati all’Umberto I – rappresentato da una piccola struttura cilindrica all’interno della quale avvengono tutte le attività dell’ospedale portatile – dove i disservizi non mancano, così come le suore per consolare i malati. Le religiose divengono improvvisamente le protagoniste di una maratona, il cui vincitore è uno di noi, un cittadino nel gergo del politicante: Gesù Cristo.
I numeri sono tantissimi e si susseguono senza sosta: un bambino vince una bicicletta al concorso acqua di pozzo e spera così di avere quell’infarto che tanto lo aiuterebbe; un manager, che lavora nella nuova mini torre messa a punto in seguito alla caduta delle Torri Gemelle, si innamora di un suo collega, facendolo poi morire di indigestione di pomodori pachino; una ragazza un po’ bruttina la sera si accende e si mostra al pubblico maschio o femmina a seconda delle situazioni; un’astronauta viene cercato dai parenti solo durante il conto alla rovescia del lancio nello spazio; un invalido di guerra ogni notte viene grottescamente visitato dalla patria.
Non mancano i coinvolgimenti del pubblico: Rezza scaraventa cappotti da una parte all’altra del teatro – «questo lo diamo ai poveri!» –; una ragazza diviene oggetto d’amore di un cane con non pochi problemi affettivi; finché non arriva la guerra. A questo punto vengono portati a morire sul palco una quindicina di spettatori – tra cui chi scrive – e i cadaveri delle donne diverranno occasione del cambio di orientamento sessuale della coppia Rezza-Bellavista. Nel finale tutti i personaggi si unificano in un solo uomo pieno di problemi, che esclama: «La sera sto una merda!».
Rezza riesce a spezzare la cappa di sacralità, nel senso di intoccabilità, della rappresentazione: essa si svolge qui ed ora ed ha bisogno di un pubblico in vita. Caratteristico anche l’habitat minimale di Flavia Mastrella. Lo spettacolo è fortemente politico nel suo far uso di una critica istintuale – nutrita anche di nonsense – nella quale potersi riconoscere.