Aperti! Una non rassegna: 4:48 Psychosis

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E’ iniziata il 7 giugno 2013 la rassegna estiva del Teatro dei Conciatori con lo spettacolo 4:48 Psychosis, che partecipa anche all’iniziativa Aperti! Una non rassegna, ideata per instaurare delle collaborazioni tra i teatri e le associazioni che vi aderiscono e per creare uno sguardo d’insieme tra le nuove realtà culturali; un progetto che ha avuto inizio a maggio e durerà fino a luglio con un programma ricco di spettacoli.

4:48 Psychosis

Di Sarah Kane

Traduzione: Barbara Nativi

Regia: Valentina Calvani

Con: Elena Arvigo

Musiche: Susanna Stivali

Foto: Pino Le Pera

Produzione: M15 & Compagnia Fourfoureight

Guarda il trailer dello spettacolo

7-8-9 Giugno 2013 – Teatro dei Conciatori, Roma

 

È un odore di chiuso, umido e quasi soffocante l’elemento che arriva per primo: non si intuisce bene cosa possa essere. Nel percorrere il breve corridoio del teatro, costipato di foto di scena strappate, e che funge da anticamera alla sala, quell’odore ci avvolge; e quando ci si accomoda ognuno al proprio posto e si accendono le luci, si scopre lentamente che quella sensazione odorata proviene dalla terra diffusa  e seminata su tutto il pavimento.

L’intensa  Elena Arvigo interpreta l’ultimo testo teatrale scritto da Sarah Kane. Un’opera da considerare come un testamento, dal momento che venne completata poco prima del suo suicidio e venne rappresentata per la prima volta un anno dopo la sua morte, avvenuta nel 1999. Sarah Kane è stata autrice di numerosi testi teatrali, che per la maggior parte vennero etichettati come controversi per i temi trattati: lo stupro, il cannibalismo, le malattie e la depressione con la quale l’autrice combatté per gran parte della sua vita.

4:48 Psychosis non è dunque un testo né semplice né facilmente interpretabile e soprattutto è anche un testo inconsueto per una rappresentazione dal momento che non contiene espliciti personaggi o indicazioni di scena. Tuttavia, la rappresentazione portata in scena al Teatro dei Conciatori è un vero tributo a favore del significato implicito dell’opera.

La bellissima voce di Elena Arvigo, a tratti con tonalità basse e inquietanti e a tratti con urla o ritmi veloci e serrati, imprigiona lo spettatore in una gabbia da cui non può uscire: è necessario ascoltare questo testo delirante per esserne impauriti all’inizio, assorbirlo nel suo svolgersi ed infine per rendersi conto dell’intimità, della fragilità e dell’amore con cui è stato scritto.

La scena è ricoperta di terra ed oggetti stranianti: lampadari barocchi appoggiati sul pavimento interrato, due sedie di diversi dimensioni e aspetto ed un mobile contenente palline da ping pong e che gira come fosse le ruota della lotteria. Ma soprattutto, la presenza di specchi ovunque: sul fondale, appesi su delle corde in una parete laterale e sparpagliati su tutta la superficie pezzi di specchi rotti che nei momenti più intimi con una luce più fioca riempivano le pareti nere dell’intera sala con la luce del loro riflesso. Lo specchio come arma con ferirsi, come ricerca della propria identità o forse come repulsione per ciò che vi si vede riflesso.

È uno spettacolo che parla d’amore, di follia per questo amore non corrisposto e del rifiuto subìto ma anche di un’incredibile lucidità che si presenta puntualmente alle ore 4:48: l’ora esatta della notte in cui i malati di depressione ottengono la più chiara e lucida visione dei loro sentimenti mentre ad osservatori esterni sembra che soffrano la loro psicosi più intensa.

Il linguaggio è di una poesia tale da arrivare dritto alla sfera emotiva, poiché nella follia possiamo essere tutti coinvolti; la differenza tra gli esseri umani sta solo nel diverso modo di affrontarla.

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Autore

Redazione

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