Architettura in uniforme | MAXXI

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Titolo: Architettura in uniforme. Progettare e costruire durante la seconda guerra mondiale

Luogo: MAXXI, Galleria 1

Curatore: Jean Louis Cohen

Quando: fino al 3 maggio 2015

Fino al 3 maggio 2015 la Galleria 1 del MAXXI ospiterà la mostra Architettura in uniforme. Progettare e costruire durante la seconda guerra mondiale. Come spiegato dal curatore Jean Louis Cohen in una conferenza introduttiva, questa ricchissima raccolta di materiali ambisce, da un lato, a portare alla luce un periodo dell’architettura contemporanea rimasto completamente all’oscuro nei manuali di storia e, dall’altro, a dimostrare come la seconda guerra mondiale sia stato un «fatto sociale totale» che ha modificato l’intera cultura occidentale, in primis l’architettura.

Tuttavia, il maggior merito della mostra sta probabilmente nel dimostrare come il rapporto fra guerra e architettura non sia assolutamente qualcosa di parziale e temporaneo, ma al contrario nasconda una delle migliori rappresentazioni di quale siano la condizione e il ruolo dell’architettura nella modernità.

Infatti, mentre oggi essa è etichettata di volta in volta come un fenomeno sostenibile, comunitario o tecnologico, i progetti della seconda guerra mondiale – che non negano queste caratteristiche, ma le isolano e le sviluppano al loro interno – mettono in luce la vera natura dell’architettura, ovvero quella di una disciplina sempre costretta ad agire in un environment sociale, urbano o militare per definizione nemico. Proprio in questa caratteristica risiede la politicità dell’architettura, nonché la sua intima connessione con il fatto bellico: se nel 1832 Carl von Clausewitz dichiarò che la guerra è una «continuazione con altri mezzi» della politica, osservando i numerosissimi documenti della mostra non si può che pensare che l’architettura non sia un mero strumento, ma rappresenti un’altra tecnica di fare la guerra, valida anche in tempi di pace.

Da un lato la guerra rese necessarie nuove forme di razionalizzazione industriale per produrre in maniera più economica, flessibile ed efficiente strumenti bellici e beni di consumo: fra questi spiccano lo «standard panel» di Donald Bailey, un pannello prefabbricato in acciaio utilizzato per la costruzione di oltre 1500 ponti nell’Europa continentale, e lo «utility forniture», un progetto lanciato nel 1942 dal governo britannico per produrre una serie di mobili capace di affrontare la carenza di materie prime imponendo un’estetica sobria e severa ai consumatori inglesi.

Dalla parte opposta rispetto questi tentativi di serializzazione si collocano le sperimentazioni sul camouflage tentate, fra gli altri, da Hugh Casson. In aperta opposizione a Salvador Dalì, che nel camouflage vedeva gli ultimi frammenti di magia di un mondo ormai completamente razionalizzato, Casson – al lavoro nella «camouflage unit» della Royal Air Force – intuisce come il camouflage non sia altro che la forma più estrema della razionalizzazione bellica.

Razionalizzazione e camouflage: non è un caso che la mostra si apra con l’esposizione di una delle prime Jeep – il cui nome deriva da «GP», General Purpose – in dotazione all’esercito americano. Veicolo multiuso efficiente e razionale, la «nuda» estetica della Jeep, fatta di funzionalità, genericità ed esotismo, nel dopoguerra avrebbe fondato un nuovo immaginario civile e culturale e, secondo Jean Louis Cohen, avrebbe definito addirittura «un nuovo modo di progettare».

Architettura in uniforme dimostra come produzione e distruzione, serialità e unicità, forma e sostanza non siano in opposizione tra loro ma possano essere sviluppati in maniera parallela e autonoma. Proprio nell’illuminare questa dialettica risiede forse la maggior attualità della mostra. Infatti, anche oggi, in questi anni (almeno per l’Europa Occidentale) senza guerra e senza politica, le «uniformi dell’architettura» sono più vicine di quanto si possa pensare: un esempio potrebbero essere i prodotti seriali e creativi dell’IKEA, il «fatto sociale totale» di tutte le case europee. Colonizzatori di stanze, distruttori del vecchio ordine e produttori di nuovi modi – non necessariamente pacifici – di abitare, gli oggetti IKEA sono solo una delle conferme di quanto il legame fra guerra e architettura, oggi come nel 1939, non possa in alcun modo essere evitato.

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