Una ricognizione dell’immagine: dal binomio eikon/eidolon alla condizione post-mediale.
Il 9 novembre, nella splendida sede del MAXXI B.A.S.E., si è tenuta la presentazione del libro Alla fine delle cose. Contributi a una storia critica delle immagini, a cura di A. Campo, D. Cecchi, D. Guastini e con prefazione di P. Montani, edito da La casa Usher. Il libro raccoglie gli atti del convegno Fiat Imago, Pereat Mundus tenutosi, il 18 e 19 febbraio 2010, presso la Facoltà di Filosofia della Sapienza di Roma e al quale hanno partecipato numerosi studiosi di calibro internazionale. I protagonisti della presentazione, moderata da P. Montani, sono stati C. Bologna, P. Fabbri, D. Lancioni e V. Valentini.
Come affermato dal semiologo P. Fabbri, il libro è una sorta di formicaio pieno di attori ai quali è stata lasciata piena libertà nello scandagliare le varie teorie dell’immagine.
Le immagini sono pericolose come lo sguardo di Medusa? Di cosa parlano le immagini?
Sono queste le domande a partire dalle quali, da Platone e Aristotele, passando attraverso approcci metafisici ed escatologici, derive iconodule e iconoclaste, fino a giungere alla cosiddetta condizione post-mediale, i vari saggi presenti nel libro indagano il rapporto tra uomo, immagine e mondo. Lungo l’arco di tutti questi secoli c’è uno snodo cruciale: la nascita dell’estetica, infatti, avvenuta nell’età moderna per opera di A. Baumgarten e suggellata dalla Critica della facoltà di giudizio (1790) di I. Kant, non ha fatto altro che rimettere in questione lo statuto teorico dell’immagine e la sua capacità di darci da pensare sia sul mondo sensibile che su quello soprasensibile.
Dal libro si evince che la presa di coscienza della brillante ipotesi di A. Danto, secondo cui oggigiorno, le opere d’arte sono soltanto a proposito (aboutness) di se stesse e del loro mondo (Artworld) è, insieme alla critica dell’immagine come strumento attraverso il quale imporre strategie di controllo tipiche delle società contemporanee, il punto di partenza per porre un freno alla stessa deriva autoreferenziale e per aprire la strada a delle nuove teorie dell’immagine. Il libro dunque, cerca di dare una risposta alla seguente domanda: siamo davvero capaci di modificare la nostra esperienza e di rimodellare il mondo attraverso le immagini?
Una delle linee guida può essere rintracciata nella dimensione espositiva dell’immagine riproducibile tecnicamente la quale può assumere una performatività referenziale e testimoniale nei confronti del mondo. Tutto ciò senza dimenticarci, come sottolinea la studiosa di video arte e teatro V. Valentini, dei processi di conformazione dei differenti formati audiovisivi al formato digitale. La perdita dell’aura, dello hic et nunc, si manifesta come la condizione di possibilità della riattivazione significante dell’immagine grazie alla sua capacità di opporsi a quei processi di anestetizzazione della nostra aisthesis.
Se l’immagine sarà davvero capace di riappropriarsi del suo contenuto mimetico, ovvero della sua capacità di riconfigurare il mondo mediante l’unione della mimesis con la linea fantastica e quella iconica, il suo simbolo non sarà più la testa di Medusa, bensì, come osserva giustamente la critica d’arte D. Lancioni, la fenice.
Le immagini, il loro carattere vitale, la loro tendenza a riorganizzarsi sempre in nuovi campi semantici, ci permettono di rinnovare il nostro essere-nel-mondo e il nostro vivere in uno spazio pubblico. L’obiettivo finale del libro consiste nel formulare delle politiche dell’immagine che ci consentano di lavorare in maniera critica sul reale, di ri-montare il mondo dal suo interno. Il concetto di un’estetica dell’interstizio, promosso dallo storico dell’arte C. Bologna, nasce proprio da questa possibilità di lavorare in quello spazio aperto tra le immagini.
Per il filosofo P. Montani, alla fine delle cose ci sono le immagini, ma solo quelle che riconducono il nostro sguardo modificato alle cose stesse, al mondo dell’agire e del patire. Aprire il campo del politico alle immagini significa consegnarle un nuovo significato, farle sopravvivere.
Alla fine delle cose è, dunque, un atto di fiducia, profondamente etico, nei confronti delle immagini.
ALLA FINE DELLE COSE. CONTRIBUTI A UNA STORIA CRITICA DELLE IMMAGINI
Curatori: A. Campo, D. Cecchi, D. Guastini
Editore: La casa Usher, Firenze
Foto: copertina del libro raffigurante Testa di Medusa di Michelangelo Merisi detto Caravaggio, olio su tela, 1597; Firenze, Galleria degli Uffizi
Presentazione: 9 novembre 2011, MAXXI B.A.S.E., Roma