ARTEMISIA
Regia Anastasia Astolfi
Con Alessandra Fallucchi e Anastasia Astolfi
Scene e costumi DTM group
Musiche Jaime Vazquez Hidalgo
Light design e fonico Roberto Nisivoccia
Produzione TEATROinMOVIMENTO
2 luglio 2012
Fontanone del Gianicolo, Roma
Come nasce un’opera d’arte? Da quali spazi della natura umana giunge all’artista la materia grezza dalla quale verrà plasmata l’opera? E quale, se esiste, è la correlazione fra la vita materiale, vissuta nella realtà ordinaria, e la vita immaginale? A queste e a tante altre domande tenta di dare una risposta lo spettacolo Artemisia.
Agli spettatori, appare una scena scarna: un quadrato dipinto di bianco, posato a terra. Una struttura solida ed effimera allo stesso tempo di blocchi sovrapposti, anch’essi bianchi, subito dietro. Prima dell’ingresso delle performer, il chitarrista suona una melodia che non inizia e non finisce, mantra ossessivo sulle voci degli spettatori in attesa.
Entrano vestite di bianco, Alessandra Fallucchi e Anastasia Astolfi. E inizialmente, sono i colori: l’attrice nomina ogni singolo colore, la sua compagna ne compone la didascalia, finché il colore, puro nella sua astrattezza di parola, si affianca all’emozione e al mondo interiore che gli corrisponde.
Ma ecco, di fronte agli spettatori si materializza lo spettro nero della biografia di Artemisia. Inevitabile come un presagio di qualcosa che si è già realizzato, la sua storia: un maestro, un pittore, la violenza sessuale, il processo, le torture, le umiliazioni. Essere una donna, nel 1600, ed attraversare il territorio più oscuro della virilità, portatore di impulsi irrefrenabili, che affondano le loro radici nel passato ancestrale dell’umanità. Essere una donna violata da colui nel quale l’allieva ha riposto la fiducia più profonda ed essere torturata e giudicata per questo.
La resa scenica del processo si articola tramite l’inventiva corporea delle attrici: la sottomissione, l’autorità dell’inquisitore che opprime l’inconsapevole-troppo consapevole artista, gli insulti e le insinuazioni, che minano le sicurezze del racconto dello stupro, fino a snaturarne l’intima natura. Le attrici si muovono con gesti estremamente calcolati, tentando contemporaneamente l’impresa di creare i numerosi personaggi storici e lo scenario circostante. Nonostante il rischio di un eccessivo didascalismo, l’interazione tra le due risulta comunque vitale.
Nella seconda parte dello spettacolo, Artemisia e la sua tela bianca si ritrovano, finalmente sole: sul bianco, si staglia il caos di un’esperienza così carica di dolore, così ingestibile dalla razionalità, così oscura e disturbante, che può soltanto essere trasformata. Come nell’opera alchemica, così nella pittura di Artemisia viene acceso il grande Fuoco della creatività e il Nero comincia a virare verso altri colori, mentre appaiono le forme di Giuditta e Oloferne. Questo è il momento più significativo ed evocativo della performance: la composizione del quadro tramite i corpi di Alessandra e Anastasia, che riescono a rendere con efficacia e sensibilità l’attimo epifanico in cui l’artista figurativo concretizza l’immagine interiore.
Attraverso la raffigurazione della vicenda biblica, Artemisia si libera infine dall’eredità del suo passato e il sangue ricomincia a scorrere; il quadrato-tela pittorica si solleva da terra e le attrici danzano ruotando in cerchio la liberazione della Creatività e del Femminile, mentre la chitarra tenta, con successo, la strada del crescendo musicale ossessivo e ipnotico.