Con la collaborazione di Ludovica Marinucci
Nell’ambito della rassegna Il bosco di Eros dal 24 al 28 giugno, promossa dal CRM presso l’Accademia Filarmonica Romana, venerdì 28 giugno si è tenuta la performance per voce, corpo e musica Fluttuo nuda, nata a partire dal racconto di Matteo Galiazzo.
Fluttuo nuda
Performance per voce, corpo e musica
di: Manuela Cherubini con: Caterina Inesi testo di: Matteo Galiazzo da Amore senza peso in Sinapsi musica: Sofia Gubaidulina, Vivente-Non vivente Suk-Jun Kim, Midong Silvia Lanzalone, eRose musica elettroacustica per corpi di donna dove: Accademia Filarmonica Romana, I Giardini quando: 28 giugno 2013 – ore 19.30info:
ascolta: Canale youtube del CRM
Il corpo in penombra di un’esile figura s’intravede soltanto nel suo disegnare sinuose forme geometriche ed evocative. Sospeso nella sua introspezione, lo sguardo del pubblico non può far altro che tentare di scorgere, dipanare, immaginare i confini di questo corpo lasciato in balia di se stesso. Ad aiutare a disegnarli si prestano la voce narrante e la musica che raccontano la vita interiore di quella che pian piano risulta essere una donna, molto particolare. “Il mio lavoro è evitare che qualcuno si avvicini a me”, questa frase segna il senso di solitudine profonda che questo corpo desiderante prova nella prolungata assenza di contatto con vita organica.
In un senso di vacuità e nostalgia, le parole e i suoni si rincorrono, divenendo così il motore della narrazione che porta ad immaginare più di quanto si verifichi effettivamente sulla scena attraverso quel corpo nudo che stilizza soltanto le sensazioni, le proiezioni di una coscienza fluttuante che è intenta a descrivere il diario della sua prigionia.
I suoni sono freddi, scomposti, distaccati dalla vita terrena. Essi raffigurano allo stesso tempo l’interiorità e l’esteriorità, rispetto alla vita della protagonista. Si intuisce l’ambiente sterile di un’astronave, fatto solo di plastica e metallo: i suoni, i rumori che questo paesaggio distopico produce e l’ambiente sonoro asettico, le pareti metalliche sulle quali essi si rifrangono. Gli stessi suoni trasportano le sensazioni, la vita interiore della donna che fluttua nuda, isolata in un’astronave a guardia del confine di un ammasso di asteroidi. La necessità di una vita sociale, il ricordo della vita sulla terra, il bisogno fisico e mentale di fare l’amore.
I suoni nell’oscurità della sala rivelano le inquietudini che quella voce tranquilla cerca di celare, raccontando la sua vita con naturalezza, quella vita in realtà assurda, al di là di un’umana concezione: suoni senza un’articolazione precisa, smembrati in un discorso disorganico, non perché musicalmente inconsistenti, ma perché la vita organica, la vita carnale, in quell’astronave non esiste ormai da anni, un paesaggio sonoro capace di colmare il gap fra la nostra vita “con i piedi per terra” e la vita fuori da ogni comune esperienza.
Questa prevalenza del senso dell’udito su quello della vista è forse il mezzo precipuo con cui la performance riesce nel paradosso di creare un immaginario di desiderio comune pur appartenendo a un personaggio totalmente fuori dal comune.