ALDOMORTO – TRAGEDIA
oggetti di scena Francesco Givone
audio e suono Marzio Venuti Marzi
disegno luci Dario Aggioli
collaborazione alla regia Elvira Frosini, Alessandra Di Lernia
drammaturgia, regia, interpretazione Daniele Timpano
produzione Amnesia Vivace
con il sostegno di Area 06
in collaborazione con Cité Internationale des Arts, Comune di Parigi
9 settembre 2011, h. 20:15 – Teatro India (Short Theatre), Roma
Venerdì 9 settembre è stata una di quelle serate teatrali che ci parlano della condivisione/coesione che talvolta lo spettacolo dal vivo riesce a creare fra i presenti; il nuovo lavoro di Daniele Timpano al Teatro India per Short Theatre sa parlare, nel suo linguaggio scenico schizoide, della forza eversiva che può sollevarsi in una comunità a partire dal chiuso delle pareti di un teatro. Ma questo è da esperire in sala, non si può raccontare.
In scena solo un attore trasformista, che è di volta in volta conferenziere, figlio, brigatista, imitatore, mimo, confidente, showman (e show-woman): tutte queste cose messe insieme.
C’è il tentativo di creare suggestioni visive, effetti luminosi e mettere semplici oggetti scenici a servizio della performance. Il repertorio musicale (usato o anche solo citato) è di qualità, foltissimo e vagamente nostalgico; i pezzi anni Settanta, che a buon diritto Timpano sciorìna (sono i suoi anni, gli anni della sua prima infanzia) come parte integrante dello studio, contribuiscono fortemente all’impronta generale e corredano il suo stile personalissimo. Anche la drammaturgia testuale, che l’artista si è certo cucito addosso, è inscritta in un’estetica del frammento d’irresistibile brillantezza. Tanto che non ho resistito alla tentazione di appuntarne stralci qua e là…
In occasione dell’anteprima di AldoMorto – Tragedia, ieri sera all’India c’era il tutto esaurito. Un pubblico attentissimo e affatto rumoroso ha seguito instancabilmente per quasi due ore Timpano in uno spettacolo di sorprendenti trasformazioni, variazioni e divagazioni sul tema Aldo Moro e anni di piombo.
Il dotato e intelligente autore-attore ha scelto un argomento avvolto da un’aura quasi intoccabile – che finora forse solo il caro estinto Gaber aveva avuto il coraggio di violare – e lo fa un po’ col pretesto di trasformare una tragedia greca in coriandoli di plastica: modo infallibile per ravvivare le coscienze dei presenti stinti, estinti.
Forse banalmente vuole soltanto fare suo il precetto per cui bisogna camminare nei luoghi della storia, ma senz’altro Timpano non è lì per raccontare la verità. Ah, la verità! Ah ah ah ah. La verità sciallallallallà.
Il Timpano faceto (ma anche quello serio) destruttura le verità, la retorica. Brigatisti è essere violenti con un logo (la stella a cinque punte). Gli anni Settanta di Moro sono evocati da una distanza di sicurezza, che permette di buttar via i barocchismi di un’Italia provinciale e bigotta che in quei tempi così ribelli erigeva le impalcature di sterili miti.
Il fondamento di partenza è comunque irrinunciabile: che se ne parli, che si vivifichi un tema soggetto a ipostatizzazioni e incasellamenti o a semplice oblìo; si porti dunque in scena quello che nella tragedia greca è tralasciato, celato da un pannello. Si smascheri, a teatro, quella realtà processuale ricostruita che avrebbe visto Moro incarcerato in una villa con tutti i comfort, in accordo con un’autopsia (fittizia) che lo avrebbe visto cadavere in buone condizioni fisiche… Timpano ce li fa vedere quei tre metri per uno (…quando a teatro si può fare!), ci fa entrare nel “giaciglio” in cui quattro stronzi di carcerieri hanno costretto lo statista a trascorrere gli ultimi 54 giorni di “vita”.
L’irripetibilità di questa, come ogni, serata di spettacolo dispone e legittima lo spettatore a focalizzare nella sua memoria uno o più dettagli spazio-temporalmente contingenti, limitati. Ecco, personalmente ritengo il clou della performance lo smascheramento di cui sopra. Tanto che il protagonista necessita rompere l’amaro racconto con un pezzo quantomai esilarante: è quello del portiamo-a-casa-la-serata-ma-sì, in cui l’attore decide di “metterci una toppa” e fare finalmente un po’ di teatro… svelo solo che Timpano intende riferirsi alla più becera e folkloristica delle accezioni di teatro, che nell’opinione pubblica più inveterata parrebbe corrispondere al teatro tout-court. Anche la comparsa di una piccola Renault 4 rossa telecomandata è un escamotage divertente, sempre per non star solo in scena. Già, in questa tragedia contemporanea (o quasi) perché farsi mancare il deus ex machina?
In questa multiforme prova di sé, c’è anche spazio per il Timpano autobiografico (o no?), quello che a tu per tu col pubblico condivide la paura di morire. La morte è stare soli. Viva il teatro che sa esorcizzare la morte.