Cobain: Montage of Heck, di Brett Morgan, 135’, USA, 2015
Produzione e Distribuzione Universal Pictures
@ al cinema il 28 e 29 aprile 2015
Cobain: Montage of Heck. Sicuramente il miglior film presentato al Sundance Film Festival di quest’anno, se non di tutte le pellicole prodotte da gennaio 2015 ad oggi. Brett Morgen, veterano del genere, ci regala il primo documentario, autorizzato, sulla vita di Kurt Cobain, analizzando quattro punti cardine della vita del Nirvana per eccellenza: la famiglia, il corpo, la musica e l’amore. Un capolavoro, perché i Nirvana lo furono, e ancora lo sono.
Morgen tratta il rapporto del leader dei Nirvana con la famiglia – emozionantissimi i filmini di Kurt bambino, spensierato e felice, mentre imbraccia chitarre e azzecca accordi su di un mini pianoforte, all’età di due anni –, la felicità di far parte di un nucleo e poi l’oblio e l’umiliazione per essere diventato l’unico ragazzo ad avere genitori separati. Il suo disagio nei confronti degli altri parte da lì. Anche Novoselic racconta che Cobain odiava sentirsi umiliato. La parola shamed (vergogna) infatti è un must nei testi dei Nirvana.
Questo suo modo di vivere il dolore gli entra dentro, nel corpo, nell’intestino, e tutto ciò si trasforma in un malessere fisico che accompagnerà Kurt per tutta la vita. Il mal di stomaco è Cobain e Cobain è il mal di stomaco. Lui stesso ammette di non saper quanto fosse giusto curarsi, perché magari facendo scomparire il dolore fisico sarebbe scomparsa anche la creatività. Morgen riesce a raccontare il malessere di Cobain alla perfezione attraverso immagini, dure, di intestini in movimento, di visceri piagnucolanti, contorti, sofferenti.
Tutto ciò, tutti i pensieri, i disagi, e quanto altro viveva nel corpo e nella mente di Kurt, sfociano, per fortuna e grazie a dio, nella musica. È un fiume in piena, un flusso di coscienza continuo, vomitato a forza su powerchord figli degli ascolti punk, divenuti il marchio di fabbrica dei Nirvana e del loro grunge, una vera e propria, e nuova, prospettiva musicale. Giornate in casa, con il sudore addosso del pezzo di prima, della registrazione dopo. Non c’è altro da aggiungere su questo punto, anche perché ascoltare i Nirvana è un’esperienza, è liberarsi di tutto. Chiunque ha ballato Smell like teen spirit o Come as you are saltando e sudando, imprecando e scacciando i propri demoni interiori vivi in quel momento. C’è una rabbia empatica in tutto ciò, anche senza sapere il significato delle parole: una sorta di danza onomatopeica tra la musica e l’animo dell’ascoltatore.
Kurt Cobain voleva diventare una rock star, solo per il fatto di sentircisi; voleva che migliaia di sconosciuti potessero interpretare a modo loro le sue emozioni, non capendo mai in realtà cosa davvero significasse quel pezzo per lui che l’aveva scritto. Montage of Heck, la consapevolezza del successo, almeno per Kurt è sempre stato il fare buona musica e non il diventare famosi. Fondamentalmente Cobain aveva bisogno d’amore, di starsene in casa nudo, di vivere tra la camera da letto e il soggiorno. E poi di qualcuno che lo capisse, lo amasse, che non lo abbandonasse mai. Trovò tutto in Courtney Love, e poi in sua figlia Frances, abbandonandole poi per sempre, perché senza di lui avrebbero vissuto meglio.
Brett Morgen racconta tutto ciò e molto di più, attraverso una sequenza di immagini, di 8mm personali della famiglia Cobain/Love, di registrazioni, di artwork, fotografie, diari, demo e raccolte di canzoni e interviste ai protagonisti di allora.
Fa tutto in modo magistrale. Cobain: Montage of Heck è un filmone, per tutti, anche per chi i Nirvana non sa cosa siano.
Un ringraziamento speciale a Benedetta Bruni, che ha partecipato alla visione ed alla rilettura del film.