Todos estan muertos, di Beatriz Sanchís, Spagna 2014, 93′
Prodotto: Avalon, Animal de Luz, Cacerola Film, Integral Film, Cine Plus
Distribuito: (Spagna) Latido Films
@ 10 maggio, RIFF (Rome Indipendent Film Festival), in sala presente la regista
Piacevole scoperta di questo RIFF 2015 è la pellicola spagnola Todos estan muertos, primo lungometraggio della regista Beatriz Sanchís, che ha ricevuto due nomination ai Goya ed è stato vincitore di quattro premi al 17esimo Festival del Cinema di Malaga.
Todos estan muertos è una storia intima, personale e quasi autobiografica. Nasce da una forte e sconvolgente perdita della regista stessa, la quale è riuscita a lavorare su questo film solo dopo esorcizzato il suo dolore. La pellicola, infatti, rappresenta: il sapersi separare dai propri fantasmi, andando avanti con la propria vita.
Ed è quello che per molti anni non riesce a fare Lupe (Elena Anaya), ex celebre rock star spagnola, rinchiusa in casa a fare torte di mele, incapace di avere qualsiasi tipo di socializzazione se non con sua madre Paquita (Angélica Aragón) e suo figlio Pancho (Cristian Bernal). Il rapporto tra Pancho e Lupe è ovviamente problematico: Pancho detesta sua madre per l’atteggiamento autodistruttivo, così come Lupe – per un motivo non chiaro all’inizio – sembra essere poco interessata al figlio. Tutto è destinato a cambiare quando Paquita, conscia di avere poco tempo da vivere e desiderosa più che mai di portare un po’ di serenità nel rapporto tra la figlia ed il nipote, decide di evocare l’anima del figlio Diego (Nahuel Pérez Biscayart), tragicamente scomparso anni prima, durante la Noche de los Muertos (tipica festività del Messico di cui Paquita è originaria).
Dalla comparsa di Diego in poi, tutti i personaggi, in primis Lupe, intraprendono un personale viaggio spirituale all’interno del proprio essere, delle proprie paure, degli sbagli del passato e di segreti sepolti dal tempo.
Lupe tenta un cammino di redenzione e ricongiunzione con Pancho, che vede in qualche modo Diego protagonista molto più di quanto il pubblico stesso possa immaginare.
Dramma e surrealismo si mescolano in una commedia quasi grottesca, dalle immagini forti ed i retroscena profani; un film degno di uno dei capisaldi del cinema spagnolo: Pedro Almodóvar. Il tema tragico viene assolutamente smorzato da un canovaccio di battute dinamico, che ha la capacità di non rendere mai scontata e banale la scena. Basta uno sguardo dei personaggi per far entrare lo spettatore in un mondo di celata ed antica sofferenza.
È sapersi riunire con i propri fantasmi ma anche lasciarli andare. Fare chiarezza con il passato per poter vivere il presente.
Vi è una totale messa a nudo dei personaggi, i quali si scoprono e riscoprono man mano che la pellicola va avanti. E sarà proprio Diego, iniziale fonte di “discordia” nel mondo terreno, a riunire la propria famiglia, ammettendo a se stesso il suo egoismo e la sua codardia. Esattamente come El dia de los Muertos, vi è una vera e propria collisione tra mondo spettrale e mondo umano. Un ritrovamento, ma anche un necessario superamento per poter andare avanti, senza rimorsi o rimpianti.
Una storia che scivola tra il romanticismo ed il disincanto. Una storia drammatica dal sapore agrodolce, dalla fortissima carica spirituale.
Nota di merito finale va sicuramente all’incredibile colonna sonora pop-rock. Un mix di musiche originali, alle quali la regista dichiara di aver lavorato personalmente insieme ad una band di Madrid.
La speranza è che questa pellicola possa superare la dogana della distribuzione ed approdare anche nelle sale italiane.