Quando entriamo in sala, l’istrionico Rocco è già in mezzo a noi e chiacchiera amabilmente con alcuni dei suoi ospiti. E’ difficile accorgersi del momento esatto in cui lo spettacolo ha inizio poiché egli, improvvisamente, prende il microfono e incomincia ad intrattenerci, a luci ancora accese, mostrando un’enorme capacità empatica, accompagnata da una particolare premura nei nostri confronti e da un’inconfondibile ironia. Non si può proprio dire che non sia abile nel mettere a proprio agio le persone che sono venute a trovarlo, per passare una piacevole serata nella sua casa: il teatro. E proprio di piacevole serata trattasi, fatta di aneddoti autobiografici ed ispirazioni estemporanee su luoghi, fatti e persone che si trasformano in canzoni; canzoni, tra l’altro, che si infilano prepotenti nella narrazione e la riempiono di brio e colore. Siamo di fronte ad una comicità semplice, a tratti popolare, ma acuta e mai banale, scandita dal ritmo di una quotidianità a volte buffa, talvolta riflessiva e profonda, ma sempre aggregante. Dopo aver presentato la sua artistica e piccola impresa meridionale, quasi a conduzione familiare oserei dire (è composta infatti da due cugini e due fratelli), comincia a raccontare con cadenza cantautoriale aneddoti a volte improbabili, ma molto sorprendenti, per quanto riconoscibili nel vissuto.
All’inizio della performance abbiamo la sensazione di assistere, come se fossimo cresciuti insieme a lui, alle sue esperienze di vita: da quella rocambolesca prima volta in tenda al background del panino con la frittata di sua madre (che, senza sua madre, che panino con la frittata sarebbe?). Ad un certo punto, poi, è come se ci sentissimo proprio come lui: facenti parte della nicchia sempre più in espansione degli sfigati sognatori con cui condivide riflessioni estemporanee sulla metro (nella quale siamo “pendolari o pendolini”?), spettatrice di vicende, così come spettatrice di storie è quella pietra passata di mano in mano ed arrivata fino a lui o quel famoso treno che non passa che una volta sola («ma se dovesse ripassare, meglio se carico di una squadra di pallavolo femminile».) Ed ecco il tema più delicato, ma anche il più discusso: l’amore, del quale è difficile non dire banalità. Invece, Rocco Papaleo lo tratta in maniera divertente ed improbabile, sotto forma di gag cantata e ricca di giochi di parole, ma anche in modo toccante e riflessivo, commuovendoci con il breve ma intenso monologo recitato dal pianista e accompagnato al piano da lui personalmente. «Perché l’amore, quello vero, non è per tutti: è per gli sconclusionati come me, e va al di là di un mazzo di fiori». E’ eclettico Rocco Papaleo. E’ evidente che -nonostante lo vediamo spesso al cinema- il teatro sia la sua casa, che ami ascoltare la gente e che sappia capirla. La sua verve entra nell’animo del pubblico prepotentemente, in maniera leggera ma anche profonda. Lo showman è caloroso e trascinante come il suo Sud, a cui si ispira e per il quale esegue patriotticamente, insieme ai suoi conterranei, Basilicata on my mind (colonna sonora del suo film Basilicata coast to coast). Infatti il simpaticissimo lucano non vuole limitarsi a vedere il suo pubblico lì fermo ad ascoltarlo, ma lo rende anche protagonista: in men che non si dica l’intera platea è in piedi, muovendosi come una foca, e accompagna la sua canzone con l’intonazione di un ridicolo motivetto (Tuf tu-tuf tu-tuf..) che perseguiterà il pubblico anche fuori dal teatro, rimanendo in testa fino al giorno successivo.
«Fa bene vergognarsi. Vergognatevi perché è catartico!». E come dargli torto.
UNA PICCOLA IMPRESA MERIDIONALE
Presentato da Less is more produzioni
Di Rocco Papaleo e Valter Lupo
Con Rocco Papaleo, Arturo Valiante (pianoforte), Francesco Accardo (chitarra), Gerry Accardo (percussioni), Guerino Dondolone (contrabbasso)
Regia Valter Lupo
24 novembre –4 dicembre 2011, ore21:00- domenica ore17:00
Teatro Ambra Jovinelli di Roma