Berlinale 67 | Logan, di J. Mangold

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logan

I hurt myself today 
To see if I still feel 
I focus on the pain 
The only thing that’s real 
The needle tears a hole
The old familiar sting 
Try to kill it all away 
But I remember everything
[Hurt, Johnny Cash]
Siamo nel 2029 e sono 25 anni che non nascono più mutanti.
Wolverine vive come un emarginato e il suo potere di autoguarigione non ha più la stessa forza. Poi, una donna messicana gli presenta una bambina di nome Laura.
Dalla storia di Mark Millar, James Mangold prende la violenza e il sangue ma da subito, già dal titolo, fa una scelta precisa: spogliare il personaggio della spettacolarità. Anche gli effetti speciali sono ridotti al minimo.
Wolverine ci appare umano, inquadrato in una dimensione profondamente terrena e, soprattutto, mortale.
Probabilmente era l’unico finale possibile e Mangold sa raccontare Logan, stanco, solitario, umanizzato e on the road.
James Mangold è tra i pochi registi di genere rimasti nel cinema americano e ci regala una nuova frontiera, un nuovo viaggio, dolente e crepuscolare.
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