Big bad wolves di Aharon Keshales e Navot Papushado, Israele 2013, 110’ Prodotto da Tami Leon, Hillick Michaeli, Avraham Pirchi, Moshe Edery, Leon Edery @ Casa del Cinema, Pitigliani Kolno’a Festival dal 1 al 5 ottobre
La camera inquadra le spalle di un insegnante che osserva la sua classe. La purezza della scena è macchiata e l’effetto è straniante perché egli è il primo sospettato per il rapimento, la tortura e l’uccisione di alcune bambine.
I metodi bruschi ed illegali della polizia israeliana non sono riusciti a farlo confessare e Micki, un agente particolarmente convinto della sua colpevolezza, ha perso il posto di lavoro dopo il ritrovamento del corpo senza testa dell’ennesima bimba. Micki e il padre dell’ultima vittima decidono allora separatamente di svolgere delle indagini parallele a quelle della polizia per incastrare il maestro. I loro piani però sono costretti ad incrociarsi e convergere in un macabro e disperato progetto finale: quello di far rivivere all’ipotetico serial killer tutti i supplizi inflitti alle bambine dal suo modus operandi in modo da estorcergli una confessione finale. L’odio e la sete di vendetta di un padre non sono però paragonabili alla voglia di riscatto di un agente e quest’ultimo avrà dei ripensamenti sconvolgendo tutto il piano e conducendoci ad un finale tanto incisivo quanto inquietante.
La forza del film sta nell’essere portati a credere, a momenti alternati, all’innocenza o alla colpevolezza del sospettato, senza mai essere sicuri del tutto di una delle due cose. Questo fa oscillare pericolosamente l’emotività di chi guarda tra l’armonizzarsi con i sentimenti di un padre ferito e l’orrore per una punizione forse ingiusta, garantendo così l’attenzione partecipata alle immagini.
I due registi ci mostrano con disinvoltura un gesto estremo, una vendetta personale avulsa dalla legge che solitamente ci fa sentire al sicuro nei nostri rapporti tra uomini. Ciò spacca a metà la moralità dello spettatore facendo emergere dal suo inconscio paure rimosse a fatica dall’inserimento in un ordine sociale. Il mondo quindi ci appare popolato da lupi cattivi e il ruolo della vittima e del carnefice ci sembrano confusi e mescolati come non mai, relegando l’innocenza ad una fragilità infantile prevaricata senza scrupoli dal mondo corrotto degli adulti. Tutto ciò è inoltre iscritto sullo sfondo più ampio del conflitto israelo-palestinese, la cui testimonianza ci viene portata da alcuni riferimenti piuttosto comici nel film.
La tensione, la sorpresa e il disgusto vengono dosati sapientemente e sono inframmezzati da un’ironia spietata, che trasforma ogni azione radicale e sconvolgente in qualcosa di piccolo e vicino, rendendo così la quotidianità inaspettatamente selvaggia. Non dimentichiamoci che Quentin Tarantino in persona ha giudicato Big bad wolves come miglior film del 2013.