Bruno Melappioni apre il suo studio in occasione del Festival diffuso di arte ipercontemporanea indetto da Mondo Bizzarro Gallery nel quartiere di San Lorenzo nella giornata del 21 Settembre 2013.
Artista: Bruno Melappioni
Titolo: Bizzarro 2013. Festival diffuso di arte ipercontemporanea
Luogo: Mondo Bizzarro Gallery, Via degli Equi 18a
Quando: 21 settembre 2013
All’entrata, accanto al suo cavallo di ferro, Bruno Melappioni è spettatore consapevole di un evento dedicato a Urban e Street Art, una voce d’esperienza “fuori dal coro”, un maestro umile che apre al moderno e lo accoglie nel suo studio: sua nipote, la pittrice Sabrina Dan e l’artista Alessio Paiano espongono le loro opere appartenenti al Pop surrealismo che lui stesso promuove in veste di moderno mecenate.
Pensieri di Cartapesta, in occasione del Festival, ha avuto modo di rivolgere qualche domanda all’artista che ci ha raccontato di sé, delle sue “donne di ferro”e del suo tentativo di passare, attraverso ‹‹la materia delle materie››, a nuove forme d’espressione artistica.
Ivan Altieri: La sua esperienza artistica. Da dove nasce l’idea di lavorare il ferro e perchè?
Bruno Melappioni: L’idea portante era quella di voler ricreare la matita nello spazio; sentivo che il tratto prodotto dalla grafite sul foglio non era sufficiente a ricreare la tridimensionalità della forma: avevo bisogno di un “medium” molto più potente, qualcosa in grado di creare la dimensione con il semplice intrecciarsi del filo di ferro con il vuoto, con l’aria, con lo spazio circostante.
Dal corpo della modella, passando per il tramite grafico, Melappioli è in grado di tornare alla forma materica senza però perdere, attraverso la lavorazione del ferro, quella leggerezza che solo un filo continuo e plasmato dalla mano dell’artista può ricreare. La materia non sembra materia, il volume è paradossalmente creato da qualcosa che non ha un volume. Se guardiamo da lontano l’intrecciarsi dei fili o anche solo limitandosi a vedere una fotografia di queste opere ci rendiamo conto che l’‹‹idea portante›› della sua esperienza artistica, ovvero quella di realizzare nello spazio qualcosa che ricreasse la tridimensionalità delle forme senza il peso eccessivo della materia, è davvero compiuta: scolpendo l’aria, l’artista pensa lo spazio come un foglio, ma al tempo stesso, ci dà la possibilità di guardare oltre quei fili, di cambiare l’orizzonte del nostro sguardo a piacimento.
Ivan Altieri: La figura femminile è suggerita in tutte le sue opere dalle forme e dai lunghi fili di capelli di ferro che scendono delicatamente sui corpi, ma da dove nasce la scelta di ritrarre delle donne “atlete”?
Bruno Melappioni: Nel Gennaio scorso ho allestito una mia mostra nel Complesso Monumentale San Salvatore in Lauro intitolata Il filo continuo dove ho esposto una serie di atlete, molte delle quali ho deciso oggi di mostrare al pubblico del Festival: c’è la trapezista, l’arciere, la spadaccina, la ballerina, la donna agli anelli e quella che fa la verticale.
Ivan Altieri: Se si alza la testa, un’opera in particolare ha attratto la mia attenzione: la crocifissione di una donna. Si tratta di un Cristo donna? Da dove nasce quest’idea?
Bruno Melappioni: Esattamente, è un Cristo con il volto di una donna, io la chiamo “Ecce donna”: si tratta di una povera Crista, se si fa attenzione il perizoma è la testimonianza del fatto che si tratta proprio di un richiamo al Cristo crocifisso. L’idea mi è venuta durante una commissione che mi avevano assegnato per una chiesa romana.››
L’ Ecce Donna è il simbolo di uno studio ulteriore sulla lavorazione della materia: Melappioli ‹‹asciuga il lavoro››, al contrario di altre sue opere, come lui stesso mi fa notare indicandomi la sua “Ballerina”, l’immagine, nella sua sacralità, si sottrae alla mano dell’uomo e tenta di districarsi autonomamente nello spazio.
Ivan Altieri: Ho visto che nel suo studio ci sono queste opere particolari in cui lei accosta alla pagina di una rivista la sua copia dipinta in modo visivamente provocatorio; Peché dipingere “copie” ?
Bruno Melappioni: Le rispondo raccontandole un aneddoto: avevo appena realizzato una di queste opere e una ragazza, nel vederla, mi aveva chiesto come io fossi riuscito a mettere una busta sotto la tela con l’immagine della rivista! Capisce che cosa ha significato per me? Da un lato mi sono reso conto di non essere riuscito a dare da subito quell’impronta che volevo, dall’altro ho accettato la provocazione. Quello che mi interesse è il gape interpretativo che si deve instaurare tra l’origianale e la copia, se questo scomparisse, come è accaduto nel racconto della ragazza, tutto il mio lavoro non avrebbe senso. Gli elementi di diversità tra l’uno e l’altro costituiscono tanto la provocazione quanto l’opera d’arte stessa: tutto sta nel fermarsi poco prima, nell’imperfezione, nella scelta di non scrivere tutte le parole o di arrivare alle tonalità cromatiche dalla pagina di giornale da cui parto.