Blancanieves, di Pablo Berger, Spagna/Francia 2012, 104′ Distribuzione Movies Inspired Uscito in Italia il 31 Ottobre 2013 e proiettato presso Il Kino in versione estate presso Il Circolo degli artisti
Siviglia, 1920. Storie di matador feriti, uccisi, storie di donne rapaci, di orfani, di morte, l’ombra del circo dei freak, le risate sghembe, le invidie più profonde, gli amori platonici, la frustrazione, le vendette, la mano lunga della necrofilia, il laccio stretto del cattolicesimo più cruento.
Berger ci sbatte in faccia la tragedia, i sentimenti umani più tumultuosi. Lo fa senza paura, e funziona: il melodramma non scade nel patetismo melenso. Biancaneve è una sfortunata Edipo che prende su di sé le colpe del padre, fronteggia per tutta la vita una vuota e vanitosa Medea. Ma non aspettatevi un capolavoro che vi sveli i più profondi recessi dell’umanità. Questo è un film che, anche attraverso l’incalcolabile quantità di citazioni formali intessute al suo interno (per un elenco completo, basta attendere i ringraziamenti alla fine dei titoli di coda) mostra come una ruota di pavone quanto il regista e tutti gli altri maestri si siano divertiti nel costruire lo spettacolo. Ogni dettaglio è curato per essere perfetto, per non far calare mai l’attenzione dello spettatore, e il piacere della visione – piacere ammantato di una straniante sensazione – è segnalato come obiettivo principale della pellicola a partire da alcune figure classiche che, nel corso della storia del cinema, sono diventate topoi dell’impulso voyeuristico che ci spinge a sederci in una sala buia per guardare dei giochi di luce e movimento. Non c’è alcuna furberia, solo sincero amore per il cinema.
La favola della novella Biancaneve, orfana immemore alla ricerca di un posto del mondo, non si chiude con un lieto fine, eppure è tutto perfetto. Le lacrime in Berger non sono il veicolo della magia che salva e resuscita, ma il segno del rimorso impotente del fantasma che non può tornare. Il tema della necrofilia e del desiderio si intrecciano in uno strano Club Silencio ante/post litteram: è tutta finzione, ma fa male come la realtà, e la realtà fa male senza bisogno alcuno di immaginare un principio di male assoluto che scompiglia l’ordine del mondo. Il male è banale e onnipresente, e spesso è veicolato da invidie e avidità. Tutto può essere mercificato, dalle passioni ai cadaveri; tutto è monetizzabile, niente conta, tutto è oggetto, res extensa disponibile a piacimento.
Nel mondo totalmente amministrato, in cui è la capacità di acquisto a determinare l’umanità o meno di un soggetto vivente, viene meno la possibilità di un lieto fine, l’innocenza è l’assente strutturale. La morale della favola è: non scambiate i viventi per oggetti e, soprattutto, lasciate in pace il toro.