Accanto a Mircea Cantor, nella Sala Enel del Macro, troviamo un altro famoso artista degli ultimi anni: Marcello Maloberti. La mostra Blitz è l’interazione dinamica e spaziale dell’opera d’arte con l’ambiente circostante, il suo fare incursione nel reale sotto forma di performance.
Sim Sala Bim (2012) è uno specchio rettangolare posto, più o meno, ad altezza uomo e agganciato al soffitto. Lo specchio ha un argano che se viene azionato gli fa compiere un movimento di saliscendi che consente, nel frattempo, a noi spettatori di avere una rifigurazione del nostro rapporto con lo spazio in cui ci troviamo. Lo specchio di Maloberti non è semplicemente un raddoppiamento della visione: esso è piuttosto un suo multiplo sdoppiamento attraverso il suo carattere di medium. Di fronte all’orizzontalità del camminare dei visitatori, Sim Sala Bim effettua un movimento verticale che ci dona delle nuove visibilità della Sala Enel, una per ogni istante in cui lo specchio si muove. Sim Sala Bim si macchia del peccato di farci osservare la proliferazione dei punti di vista: una teoria della visione che si appresta a essere quasi infinitesimale di fronte al moltiplicarsi dei suoi spettatori e quindi delle relazioni con l’ambiente che ci circonda.
Katerpillar (2012) è una perfomance in cui una squadra di operai ha montato un guard-rail a forma di fulmine: i visitatori possono camminarci accanto, da ambo i lati dell’installazione, oppure, perché no, scavalcare per passare proprio da un lato all’altro. Si potrebbe dire che Katerpillar è un’opera metaartistica poiché getta una chiara luce sul modo di fare arte di Maloberti, un modus operandi che si basa sulla perfomance, sul suo carattere istantaneo e sulla sua irruzione nella realtà. Il guard-rail di Maloberti non è razionalmente ai bordi della strada, ma si fa esso stesso strada, arzigogolata nel suo essere lampo subitaneo divisore dello spazio in cui si estende artisticamente.
Infine, su un muro, sono proiettate, attraverso un video, alcune performance di Maloberti, tra cui Blitz, divenuta famosissima. In Blitz alcuni ragazzi e ragazze entrano sulla scena e si piazzano, linearmente uno a fianco dell’altro, davanti al pubblico. Ognuno ha davanti a sé una statua, a prima vista di ceramica, raffigurante una pantera. Il compito di ogni performer è molto semplice: seguire le istruzioni precise dello stesso Maloberti, ovvero alzare la statua fin sopra la testa, come se si facesse del sollevamento pesi, per poi tirarla a terra, frantumandola in milioni di pezzi. Ora, che significato ha Blitz? La performance di Maloberti ne potrebbe avere almeno due, collegati tra loro: uno più strettamente concettuale, l’altro invece, fortemente storico. Se da una parte Blitz è il gesto dell’artista post-duchampiano che non solo designa quella pantera di ceramica come opera d’arte, come ready-made, ma la sacrifica anche, distruggendola in migliaia di pezzi, simbolo della deflagrazione della vecchia Gesamtkunstwerk e sconfinamento nella molteplicità dell’artistico contemporaneo, scambiato molto spesso per una voluttuosa chiccheria spettacolarizzata di cui avere più di una testimonianza, ovvero un reperto – è interessante vedere come molta gente, dopo la performance, si avvicini e tocchi i “cadaveri” frantumati delle pantere e chissà che qualcuno non se ne sia portato via un pezzetto facendolo firmare, prima di andarsene, allo stesso artista -, dall’altro Blitz si configura come rottura e messa fuori gioco dello schema tradizionale, apertura alla inaspettata liberazione del genio che trasforma un semplice atto in un’azione artistica accidentale da intendere come un’incursione nel reale portatrice d’imprevedibile violenza – la pantera, appunto – e pregna di materiale significante proprio nel suo darsi-farsi.
MARCELLO MALOBERTI. BLITZ
Macro, dal 16 marzo al 3 giugno 2012,
foto di Giorgio Benni,