FRONTIERA DONNA – Parte prima
Un progetto teatrale di Riccardo de Torrebruna
Con Marina Basile, Giammaria Cauteruccio, Fanny Cerri, Marina Collacchi, Floriana L’Arco, Angela Maria Lombardi, Annalisa Rapelli, Gabriele Santi, Luca Sarcinelli
Disegno luci Daniele Gratissi
Foto Stefano Giustini
25 e 26 giugno 2012
Studio Teatrale Itaka
Vicolo del Cedro, 5 – Roma
Una sterminata lamiera metallica solca l’entroterra americano, sfregiando i volti di Stati Uniti e Messico: è il Muro della Vergogna che catalizza orde di emigranti dall’America Latina. Violenze, corruzione, traffico di droga, abusi trovano, in quel territorio, il loro humus. Il corpo delle donne, in quel baratro di non-senso, è merce di scambio. La violenza sessuale è un giogo certo.
Il palco di Vicolo del Cedro, che ospita la messa in scena di Frontiera donna di Riccardo de Torrebruna, rappresenta proprio questa dimensione di non-spazio, un limbo in cui l’attesa del peggio diventa snervante. Catapultate con rabbia in un carcere angusto, o percepito immediatamente come tale, le donne, disposte in circolo, respirano ognuna l’ansia dell’altra. L’assetto concentrico dei loro corpi rimanda a uno scambio fluente di energie che passano, nel bene e nel male, all’interno del gruppo che diventa un unico conglomerato. L’interazione e l’empatia sono, per queste donne, gli unici strumenti di sopravvivenza nell’anticamera dello stupro.
Il pubblico è risucchiato nel vortice dell’angoscia, stordito da innumerevoli altre sensazioni che si materializzano sulla scena, in sequenza, irrazionalmente, assecondando le reazioni più disparate delle ragazze. Singolare la performance di Fanny Cerri che, inasprita da tanta tensione, si offre, essa stessa, agli aguzzini, improvvisando uno striptease provocatorio e disperato. Le donne sanno qual è lo scotto da pagare. Ci devono selezionare, c’anna sceglie, nos tienen que seleccionar: una ad una, devono essere passate al vaglio, come carne da macello. Devono imparare a cambiare pelle, adattare il proprio essere alle circostanze. Ma l’aspetto più inquietante è la pratica diffusa tra le sventurate di iniettarsi un pericoloso anticoncezionale, che le rende sterili per alcuni mesi, a volte per tutta la vita.
Gli uomini presenti sulla scena incarnano tipi maschili poco confortanti: un sacerdote totalmente incapace di dare sollievo alle anime in pena; un carceriere aggressivo ed un altro psico-labile. Il segreto delle donne è che, nelle situazioni più disperate, hanno imparato, dopo secoli di soprusi, in che direzione guardare: oltre la frontiera.
Il regista parte da una contingenza storico-sociale ben definita per sviluppare la tematica della frontiera in senso più ampio, più universale, accogliendo tutte le possibili nuances ad essa associate. Il limite da oltrepassare è, allegoricamente, ogni tipo di chiusura che vuole incatenare la donna a una dimensione di mercificazione corporea, strappandole la dignità, la sicurezza, la serenità. Ma il riferimento è anche alle nostre personali barriere interiori, da plasmare, da modificare, a volte semplicemente da abbattere.
Lo spettacolo, concluso in sé, è parte di un progetto in evoluzione, che prevede un ulteriore sviluppo entro il prossimo anno. Riccardo de Torrebruna, con la sua sensibilità, non smette di richiamarsi a un teatro di denuncia sociale, rappresentando aspetti crudi della nostra realtà, mitigati solo dalla sua intelligenza espositiva e creativa che, anche questa volta, merita un plauso.
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