regia Luca Pastore con Dimitri d’Urbano, Ludovica Avetrani, Miriam Messina, Antonio Pastore, Claudio Filardi, Sharon D’Alessandri, Jawad Moraqib musiche Mattia Yuri Messina grafica Stefano Cipollari produzione I Cani Sciolti – Compagnia Teatrale Artigianale 26 Maggio, Teatro Studio Uno, Roma
Rarefazione, odore di sudore, urina e disinfettante, arena e sangue. Un toro si muove nervoso sulla sabbia in cui affonda gli zoccoli, una sabbia umida, densa, macchiata del sangue e del sudore di molte corride a cui continua a partecipare incessantemente. L’animale ha muscoli forti come il suo spirito che non si rassegna, non cede il passo a sconfitta e dolore impressi nel suo volto come nel suo corpo: il sangue che tinge la sabbia è anche il suo, ma non è sangue della sconfitta, è quello dei vittoriosi, versato per sopravvivere.
<<L’amore è bellissimo anche se fa male>>.
L’amore per la vita, per chi abbiamo vicino e per noi stessi è la cosa più preziosa che si ha e non si può correre il rischio di perderlo di vista, di dimenticarlo, di farlo sparire. È questo quello che si percepisce appena le luci sì scaldano sul trittico che lo spettatore si trova di fronte: come una pala d’altare dipinta da Caravaggio in cui sono racchiuse tutte le sue opere, prima fra tutte la Flagellazione di Cristo per poi passare alla Maddalena in Estasi fino ad Amor Vincit Omnia.
<<Penso dunque sono>> disse Cartesio, <<Amo dunque sono>> sembra dire Luca Pastore.
Guardate il Pazzo, presentato dalla Compagnia Teatrale Artigianale – I Cani Sciolti, è un lavoro che ci parla dell’umanità dell’ essere umano, non della razza umana. Ci mostra la fragilità della consapevolezza che la solitudine è materiale della mente, che senza l’altro non ci siamo neanche noi, non esistiamo e perdiamo così in un attimo il contatto con la realtà. Cosa potrebbe accadere ad una persona qualsiasi nel mondo se venisse privata, anche per un solo giorno, dei propri amori, delle proprie certezze e dei propri ricordi?
È evidente come il lavoro svolto dagli interpreti, sia frutto del loro talento e dell’attenta regia che li ha guidati, anche attraverso un profondo lavoro emotivo, oltre che tecnico. La cura con la quale gli attori sono stati indirizzati lungo il difficile ed angusto percorso di realizzazione merita un plauso alla regia. Le luci calibrate alla perfezione donano allo spazio scenico un’atmosfera carica di luoghi differenti nonostante le ridotte dimensioni della sala. Il tipo di scelta luminosa estremamente pittorica ha messo in risalto la qualità delle pose degli attori, così come del movimento scenico. La musica originale composta da Mattia Yuri Messina è suggestiva ed evocativa, capace di riportare lo spettatore ad una condizione di sospensione fra mondi che mescolano fra loro pura elettronica al mawwal arabo. La composizione musicale custodisce al suo interno la ripetizione dell’eco di un carrilon straniante e distorto, inquietante, atmosfera che avvolge i corpi degli attori.
I protagonisti sembrano camminare su di un ponte oscillante, unica via di passaggio per arrivare dall’altro lato e poter così continuare il loro cammino. Nel momento in cui decidono di attraversarlo, nel momento in cui poggiano il piede sulla prima asse, il dondolio si fa sempre più forte, il vento comincia a soffiare ignorando le richieste d’aiuto, ignorando il sangue che fuoriesce dalle mani per la presa disperata della corda che tiene legato il tutto. L’ipotesi della caduta, che sembra ormai inevitabile, viene impedita dalla sorprendente forza di volontà di riuscita, di rinascita, di resistenza che i protagonisti portano sul palco.
Loro saranno più forti, riusciranno ad attraversare quel sottile filo sospeso, e anche se aldilà non ci saranno più le cose che avevano, le persone che amavamo, nessuno può strappargli via il ricordo, nessuno può togliergli l’amore provato.