In concorso
Regia: Arnaud Desplechin
Con: Benicio Del Toro, Mathieu Amalric
Paese: Francia
Anno: 2013
Durata: 114 min.
Dopo Esther Kahn (2000), Arnaud Desplechin torna a girare in lingua inglese, allontanandosi, almeno all’apparenza, dai temi e dagli sguardi eccentrici dei suoi film più fortunati, I re e la regina e Racconto di Natale.
Jimmy P. è, infatti, ispirato a Psychothérapie d’un indien des plaines, libro dell’antropologo e psicanalista Georges Devereux, uno dei padri dell’etnopischiatria, che, nel 1951, pubblica il resoconto dettagliato delle sue sedute d’analisi con James Picard, reduce di guerra appartenente alla tribù indiana dei Piedi neri. Affetto da gravi disturbi, che non trovano alcun riscontro fisiologico, Jimmy è affidato al trattamento dell’esuberante Devereux, in considerazione delle sue conoscenze approfondite degli usi, delle strutture sociali e delle culture delle popolazioni native americane, dei Mojave in particolare. Ed è proprio a partire da questo incontro fondamentale che Devereux mette a punto il suo metodo di analisi, che, pur accogliendo in principio gli insegnamenti freudiani, mette in campo una pluralità di conoscenze e di approcci.
È chiaro che Desplechin deve lavorare di sottrazione. Ma, pur operando delle scelte ben precise, pur nella naturale manipolazione della narrazione, non viene meno all’obiettivo di esser fedele al testo di partenza, al valore del caso clinico. Ed è proprio questo tener fede, nel senso letterale di ‘fiducia’, sembra essere il motivo fondamentale del film. Il racconto di un rapporto di fiducia tra analista e paziente, che automaticamente si trasforma in un legame profondo, un’amicizia che oltrepassa gli stretti limiti dei corrispettivi ruoli. Jimmy P. e Devereux trovano un naturale punto d’incontro nella loro comune condizione di alterità e sradicamento. Un indiano ai margini della società americana e un apolide, lontano, per obbligo e per scelta, dalle sue origini rumene e dalla sua patria d’adozione, la Francia. Due personaggi che condividono la loro diversità, la loro posizione eccentrica, perfettamente resa dalla recitazione controllata di Benicio Del Toro e dall’esuberanza fisica di Mathieu Amalric. E proprio questa loro eccentricità li ricollega alle figure e alle relazioni tipiche del cinema di Desplechin, sempre ai limiti della patologia, ma sempre profondamente umane.
Così, questo film all’apparenza ‘tecnico’, interessato alle pure dinamiche piscoanalitiche, in potenza interamente fondato sulla parola, ‘scritto’ e ridetto, mette in gioco in realtà una magnifica vitalità. E mostra, per di più, come quella fiducia fondamentale sia, innanzitutto, una fiducia nel cinema, nella sua capacità di semplificare per approfondire, di essere al tempo stesso teoria e sostanza. Desplechin, proprio nel suo lavoro più complesso, ha la forza di conciliare la personalità e il mainstream, la diversità e il classicismo, chiamando in causa i suoi grandi modelli di riferimento, John Ford e François Truffaut.