Il road movie negli anni Trenta: ACCADDE UNA NOTTE

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It happened one night, 105′, USA 1934

Regia Frank Capra,

Sceneggiatura Robert Riskin,

Montaggio Gene Havlick,

Fotografia Joseph Walker,

Musiche Louis Silvers,

Scenografia Stephen Goosson,

Casa di produzione Columbia Pictures,

Interpreti Clarke Gable (Peter Warne), Claudette Colbert (Ellie Andrews), Walter Connolly (Alexander Andrews), Roscoe Karns (Oscar Shapeley), Jameson Thomas (King Westley), Alan Hale (Danker).

Accadde una notte è un film in bianco e nero del 1934 diretto da Frank Capra. Vinse i cinque maggiori premi Oscar: Miglior film, Regia, Sceneggiatura, Attore protagonista e Attrice protagonista, e ha regalato agli spettatori – e all’intera storia del cinema – alcune scene topiche, come quella di Ellie che fa l’autostop sollevando la gonna e mostrando una gamba. Momento del film “scandaloso” e “sovversivo” almeno quanto il torso nudo di Clark Gable in un’altra scena della pellicola

Clark Gable e Claudette Colbert interpretano rispettivamente lo squattrinato giornalista Peter e la bella e capricciosa flatter Ellie. Entrambi gli attori erano già lanciati verso una luminosa carriera e avevano alle spalle numerosi film, ma non era che l’inizio di un più ampio percorso verso il successo. Di lì a poco lei avrebbe interpretato l’affascinante Cleopatra nell’omonimo film di Cecil B. De Mille, e nel personaggio di Peter è impossibile non riconoscere l’elegante faccia da schiaffi che caratterizzerà l’indimenticabile Rhett Butler di Via col vento a cui qualche anno dopo lui avrebbe dato volto.

Il film di Capra è perfettamente inserito nel filone del cinema classico per il modo di articolare intreccio, lavoro della macchina da presa e montaggio, e ha la brillantezza della screwball comedy americana degli anni Trenta. È inoltre un chiaro esempio di road movie dal momento che la maggior parte della vicenda avviene, appunto, on the road: tutto comincia, infatti, con la fuga della viziata ereditiera Ellie verso New York. Il viaggio in pullman le permette di vedere da vicino gli effetti della Depressione, dipinta dal regista in modo quasi evocativo, come emerge dal lungo carrello che segue Ellie mentre si avvicina alla fila di donne in attesa di fare la doccia durante una sosta imprevista.

Ma il viaggio è prima di tutto metaforico, è uno spostamento fisico che si sublima nell’interiore, un percorso durante il quale i personaggi evolvono. E ad evolversi è soprattutto Ellie, la quale per la prima volta percepisce la libertà della vita di strada, abituata com’era a condurre un’esistenza sicura e dorata, ma castrante. Inoltre, il viaggio diventa anche strumento di una rivelazione, poiché negli ultimi minuti del film Ellie confida al padre che è sulla strada che ha incontrato il suo grande amore. Perché, ebbene sì, il viaggio condotto tra autostop e inaspettate notti in motel di strada, tutto incentrato sulla condivisione e la progressiva conoscenza reciproca, giunge fino all’ (inevitabile) innamoramento.

Un innamoramento che era stato deciso sin dall’inizio del film, attraverso delle strategie squisitamente tipiche del cinema classico: dopo l’apparizione di Ellie che tiene in mano il suo biglietto per New York, la macchina da presa si sposta con un movimento combinato di carrello e panoramica su Peter che sta parlando da una cabina telefonica, lasciando dunque la donna fuoricampo. I due sono insomma inconsapevoli dell’esistenza l’uno dell’altra, ma la regia li rende una coppia prima ancora che sia il racconto a farlo: come solo il cinema può, permettendo al regista di plasmare la materia del plot con le sue mani, decidendo così del destino dei suoi personaggi prima ancora che essi riescano a prendere davvero vita sullo schermo.

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