di e con Giuseppe Cederna
regia Ruggero Cara e Elisabeth Boeke
musiche di W. A. Mozart
pianoforte M° Sandro D’Onofrio
scene Francesca Sforza
costumi Alexandra Toesca
luci Paolo Latini
produzione Teatro Franco Parenti, Art Up Art
17 gennaio, Teatro India, Roma
Dal 10 al 21 gennaio è andato in scena al Teatro India Mozart-Il sogno di un Clown di e con Giuseppe Cederna, regia di Ruggero Cara e Elisabeth Boeke.
“E’ impossibile comprendere una figura del passato, tantomeno un genio se non si sia mai fatto il tentativo di comprendere se stessi”.
Partendo da quanto sostenuto dal biografo W. Hildesheimer, al cui “Mozart” lo spettacolo si ispira, Cederna intraprende un viaggio a ritroso nella propria vita e in quella del compositore intrecciando le due narrazioni nel tentativo di carpire il mistero che si cela dietro l’esistenza di un genio, di un uomo.
Buio, la luce illumina solo l’attore: è il 1987 e il giovane Cederna si trova alle prese con il provino che avrebbe fatto decollare la sua carriera teatrale, quello per l’Amadeus di Peter Shaffer. Sono passati 30 anni infatti da quando Umberto Orsini, diretto da Mario Missiroli, lo scelse per interpretare Mozart, da quando il destino lo strappò alle piazze di Roma in cui si esibiva come clown per investirlo del ruolo del più grande compositore della Storia che del clown ebbe sempre l’animo.
Riuscite a vedermi? Chiede a più riprese l’interprete… il provino è stato vinto, ora bisogna studiare. -Mi raccomando, la risata!- raccomanda Orsini. E’ in un’estate dell’87 che è iniziato il viaggio verso Wolfgang. La coda di cavallo della gioventù è scomparsa, ma l’animo è immutato, in tutti questi anni Mozart, il suo clown, è rimasto ad agitarsi nell’attore/autore.
Grazie anche all’accurata regia Ruggero Cara e Elisabeth Boeke, sembra impossibile percepire il momento in cui Cederna cessa di recitare se stesso ed inizia a trasformarsi in Mozart.
La sala si illumina, scoprendo tre meravigliosi mobili settecenteschi che disegnano uno spazio scenico molto essenziale e funzionale al racconto: un divanetto, uno specchio e un fortepiano suonato e vissuto dal M° Sandro d’Onofrio che con grande maestria e presenza scenica fa vivere la musica del compositore dalle prime sinfonie composte a 5 anni fino al Don Giovanni e Il flauto magico. Pochi elementi ben dosati e un sapiente uso della parola e della mimica bastano a proiettarci dagli anni ’90 al 1700, da Piazza Navona a Salisburgo, dove tutto ebbe inizio, e poi via per i salotti e i teatri dell’Europa illuminista -Riuscite a vedermi?-
Cederna in un appassionato e brillante monologo ci racconta il suo Mozart, l’enfant prodige, il buffone, vulcanico, imperscrutabile genio, ma pur sempre umano, nonostante la straordinarietà, e quindi non immune agli altalenanti giochi della sorte, ai dolori, agli amori, agli insuccessi, alle sconfitte e soprattutto alle difficoltà economiche che lo accompagnarono per tutta la vita, ma che sempre affrontò con caparbietà e positività, forte di quell’infantilità che lo mantenne clown, primo libero professionista per amore quasi mistico della musica.
<<Scommetto che è così, è così che Dio sente il mondo, milioni di suoni che salgono, salgono, salgono, si mescolano nel suo orecchio fino a diventare una musica interminabile, inimmaginabile per noi. Ecco qual è il nostro compito, il compito di noi compositori, unire insieme la mente di lui, di lei, di lei, di lui, i pensieri delle cameriere e dei maestri compositori di corte e trasformare il pubblico in Dio>>
Lo spettacolo sicuramente ha destato interesse e partecipazione nel pubblico, forse più intellettuale che emotiva. Ma ciò che può sembrare un limite può essere interpretato come un pregio in quanto rispecchia l’inafferrabilità di una figura così contraddittoria e il senso di distacco dal mondo che caratterizzò Mozart, il quale, afferma Cederna, in quanto genio “non vede se stesso come centro del dolore del mondo. Tu bruci, non cerchi di impedirtelo, non ti vedi in relazione con il mondo. Non ti vedi, assolutamente”
Eppure qualcosa noi vediamo, un Mozart personale, umano, che sembra spronare lo spettatore alla ricerca del proprio clown, del proprio genio, elemento indispensabile alla realizzazione di un sogno. Per concludere con un’ultima citazione, summa della pièce:
<<Wolfgang era un enigma nella sua essenza più intima, nell’elemento che lega insieme la sua creatività e il suo comportamento, un’apparizione unica, singolare, incomparabile, qualcosa che ci riconcilia con la vita, con quella parte della vita che resta in debito con noi, dolorosa, faticosa, una specie di miracolo redentore>>