La sala Sinopoli dell’Auditorium Parco della Musica di Roma ospita le mareggiate di vetro di Philip Glass: ospite speciale, il virtuoso del violino Tim Fain.
dove: Auditorium Parco della Musica, Roma
quando: 22 aprile 2013
info:
sito Auditorium Parco della Musica
ascolta:
brano ‘Opening’ – Part 1 of ‘Glassworks’
brano Glass Chamber Works with Philip Glass and Tim Fain
Complice un piovoso lunedì, con tutti gli imprevisti che il meteo sfavorevole comporta per la viabilità romana, la sala Sinopoli dell’Auditorium Parco della Musica non è affollatissima, nonostante la programmazione preveda l’esibizione di uno dei compositori più prolifici della musica contemporanea. Quello del 4 aprile è stato il secondo appuntamento della serie nominata Carta bianca a Philip Glass, per il quale il genio statunitense chiama sul palco un validissimo esecutore, vincitore di una recente edizione dell’Avery Fisher prize e candidato al Grammy per la colonna sonora del film Black Swan, del 2010 di Aronofsky: Tim Fain.
Brevi interventi di presentazione dall’incedere quieto e cordiale e una scaletta di 2 ore abbondanti con brani storici del repertorio di Philip Glass e composizioni recenti, alcune studiate appositamente per la collaborazione col giovane violinista.
Il primo brano è Mad Rush, pubblicato per la prima volta nel 1979 in una delle raccolte di lavori solisti per piano: nonostante faccia parte di una sezione temporale – va da sé che si tratta di una sistemazione puramente indicativa – legata ancora saldamente al minimalismo delle origini, così come lo conosciamo dai grandi classici del calibro di Two Pages del 1968, in realtà l’estetica semplificata di Mad Rush strizza già l’occhio ad una serie di composizioni future quali quelle dei Glassworks, di poco successive, e Metamorphosis della fine degli anni ‘80, che sfoceranno poi nelle grandi composizioni di temi per colonne sonore le quali hanno garantito l’immutato sfarzo del suo lunghissimo regno musicale.
La seconda proposta della serata è una composizione in forma di partita per il solo violino di Fain, il quale non perde occasione di mostrare le sue doti espressive, benché ogni picco emotivo dello strofinio dell’archetto sulle corde venisse puntualmente sottolineato da un fruscio di cassa; inconveniente certamente antipatico per una serata di così alto livello.
I sette movimenti della composizione, dinamici e melodici, non sono però l’unica dimostrazione del virtuosismo di Fain, che a conclusione del concerto si è esibito in un pezzo che ricordava vagamente l’opera di Steve Reich, il padre “filosofo” del minimalismo e della musica frattale autogenerativa: applausi scroscianti per la facilità di esecuzione passaggi complicati e per la straordinaria memoria del violinista, messa a dura prova dello spaventoso intreccio di pattern ritmici e melodici.
La prova pianistica del professor Glass, se non ha brillato per virtuosismi tecnici, ha però commosso per profondità trasporto: il compositore ormai settantacinquenne non ha certo lo smalto e il vigore di un giovanotto, ma i suoi drammatici cambi di tonalità con i bicordi prima/quinta al basso e gli squillanti e ipnotici arpeggi a cinque dita, ricetta vincente del suo repertorio di strumentista solista, non cessano di incantare l’ascoltatore.
Dopotutto la potenza del minimalismo musicale sta nella sua vicinanza con la costrizione che la ripetitività della preghiera applica sul convergere del destino dell’uomo col volere divino: è un po’ quello che pensava Nietzsche a proposito dell’origine della poesia.
Da ascoltare attentamente: la Opening dei Glassworks, Metamorphosis n.4 e il duetto con Tim Fain dal titolo Pendulum.